Una donna che non vuole tenere il suo bambino, troverà comunque il modo di abortire – dicevano i promotori della legge -, e allora tanto vale fare in modo che ciò avvenga in sicurezza e condizioni igieniche adeguate in ospedale. Legalizzare l’aborto avrebbe così permesso di cancellare l’aborto illegale e i suoi pericoli e - attraverso la pratica assistita negli ospedali -, tutelare la salute e la vita delle donne.
Risale al 27 gennaio 2010 la notizia dello smantellamento di una clinica abusiva che praticava aborti, situata prima nella Chinatown milanese, e poi trasferitasi alla periferia nord della città, dopo che un servizio della trasmissione televisiva Le Iene l’aveva smascherata. Un’altra, collocata in un sottoscala e dotata di sala operatoria insonorizzata, è stata individuata a Terzigno, nel Napoletano, e sequestrata dai carabinieri il 5 giugno 2010. A settembre 2011 una clinica abusiva - collocata in una casa privata - e gestita da una donna cinese, è stata scoperta a Padova. Anni addietro, diverse cliniche che praticavano aborti illegali sono state individuate “a Torino, Salerno, Palermo, Genova e Roma”[2]. Nell’agosto 2010 è stato, invece, arrestato il ginecologo dell’Ospedale Civile di Arzignano (Vicenza) perché, dall’anno 2006, praticava aborti irregolari nel suo appartamento, liberandosi dei feti attraverso lo scarico del water. Per ogni interruzione di gravidanza percepiva dai 500 ai 1.500 euro e se la donna incorreva in complicazioni, la visitava, in regola con i documenti, nell’ospedale dove lavorava.
A dicembre 2008 sono stati sospesi dalle funzioni il primario di Ginecologia dell’ospedale Rizzoli di Lacco Ameno (Ischia) – che agli atti risultava addirittura obiettore di coscienza - e il suo collaboratore, accusati di aver praticato aborti illegali nei propri studi privati e presso lo stesso ospedale. Mentre il 23 maggio 2010 è stato il nosocomio di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia, a finire sui giornali per essere stato trasformato in un centro di aborti clandestini. Il ginecologo umbro falsificava i certificati per permettere alle donne di interrompere la gravidanza oltre i termini di legge, oppure invitava le pazienti a presentarsi al pronto soccorso dell’ospedale dove lavorava, fingendo un malore o delle perdite, dopodiché eseguiva l’intervento senza certificare le condizioni previste dalla 194. A suo carico anche un aborto “fuori tempo” di due gemelli, messo in atto contro la volontà della donna (una straniera che non comprendeva l’Italiano) che sarebbe stata indotta a firmare il consenso informato con la complicità del compagno convivente. E ancora, su Repubblica del 24 maggio 2013, si poteva leggere di “ambulatori fuorilegge: l’ultimo gestito dalla mafia cinese è stato smantellato a Padova dalla Guardia di Finanza alcune settimane fa. Incassava 4mila euro al giorno. Tra i clienti anche donne italiane. E poi sequestri, spaccio di farmaci abortivi, confezioni di Ru486 di contrabbando” e, dulcis in fundo, “188 procedimenti penali aperti nell’ultimo anno per violazione della legge 194, spesso contro insospettabili professionisti che agivano nei loro studi medici”[3].
È la segretaria di Spallone - che ha denunciato i fatti dando il via alle indagini – a raccontare agli inquirenti gli orrori perpetrati nella clinica, nella quale giungevano tantissime donne “italiane, o da fuori, straniere ed anche minorenni, provenienti dall’ospedale, dai consultori o su segnalazione di un’amica”. Gli abusi iniziavano da subito con una disparità di trattamento tra italiane – alle quali venivano eseguiti esami completi – ed “extracomunitarie, rumene e prostitute alle quali si faceva solo il gruppo sanguigno e l’elettrocardiogramma e qualche volta anche solo l’elettrocardiogramma, prima di procedere all’aborto”[4]. Il prezzo pagato variava in base al periodo di gestazione, oscillando dal milione e mezzo di vecchie lire ai dieci milioni, ma l’inchiesta ha messo in luce anche sedici episodi che hanno visto il coinvolgimento di donne “giunte all’ottavo mese di gestazione, che avrebbero partorito un bambino vivo, poi soppresso all’interno della clinica, dietro compensi da pagare in nero sino a 22 milioni di vecchie lire”[5].
Gli aborti erano praticati a ciclo continuo, di giorno e di notte. Scrive il Giudice per le indagini preliminari all’epoca dei fatti: “A Villa Gina operava una consorteria il cui nucleo di base è legato da stretti vincoli di parentela. In corrispondenza c’erano donne vessate, disprezzate e maltrattate, talvolta costrette all’aborto con minacce e violenza. Molte portano ancora il trauma psichico e lottano con i postumi di un intervento devastante, eseguito in condizioni igieniche disastrose (si operava spesso senza guanti e Ilio Spallone pure a torso nudo e con un grembiule da macellaio, ha raccontato l’anestesista), con imprudenza, imperizia di chi con l’occhio avido già guarda alla paziente successiva. Fino al lugubre rito degli interventi notturni che lascia sgomenti”[6].
La segretaria di Spallone descrive ai magistrati gli abusi fisici e psicologici subìti dalle donne che si recavano nella clinica per abortire, e le gravissime conseguenze fisiche occorse ad alcune di loro: “Quando la paziente superava le dodici settimane il modo in cui le procuravano l’aborto non potrò mai dimenticarlo. Vengono somministrati farmaci in quantità eccessiva e la donna si vede che soffre in un modo tremendo, innaturale […] Dopo aver dato i farmaci che procurano l’aborto, le lasciavano tutta la notte sole in una stanza. Lui diceva che non dovevano lamentarsi perché non le sentisse nessuno. La mattina si faceva l’intervento e poi uscivano senza che altri le vedessero”. E precisa: “[Spallone] trattava sempre tutti male. Diceva anche alle pazienti un sacco di parolacce”. Poi rivela: “In un caso l’intervento è venuto male. Mi dispiace per quella povera ragazza che credo proprio non avrà mai figli. E poi c’è la vicenda di una donna di 40 anni. Non era di Roma e faceva un’interruzione per una gravidanza molto al di là delle dodici settimane. Le hanno perforato l’uretere: dovrà andare avanti con una sacchettina per urinare”[7]. E ancora: “[una giovane] era contraria all’interruzione di gravidanza e arrivata in sala operatoria scoppiò a piangere gridando che non voleva abortire. Ilio Spallone urlava e colpiva la donna alle gambe, un altro la tratteneva finché l’anestesista non riuscì ad addormentarla”[8].
Nel corso delle indagini vengono sentiti anche altri testimoni. L’anestesista riferisce di un aborto praticato su di una donna in avanzato stato di gravidanza: “Occorreva particolare attenzione perché il feto era grande, ma Ilio Spallone andò in palla e perforò l’utero. La paziente stava talmente male che venne intubata”. Viene alla luce anche la vicenda di una minorenne che di abortire non ne voleva proprio sapere e che fu obbligata a farlo, costretta con la forza dalla propria madre che si era messa d’accordo con Spallone. Vi è anche la testimonianza di una giovane che dopo un esame radiografico ci aveva ripensato chiedendo al ginecologo romano più tempo per riflettere sulla sua decisione, il quale però le rispose che ormai “non poteva tornare indietro in quanto i raggi x avevano provocato danni irreparabili al feto”. Racconta la donna: “L’intervento venne effettuato, mi svegliai nella stanza molto agitata e intervennero degli infermieri per trattenermi. Io urlavo cercando il mio bambino”[9].
Un quadro terrificante, tale da far concorrenza al più cruento film dell’orrore, emerge dalle modalità con le quali si provvedeva allo “smaltimento” dei cosiddetti “rifiuti speciali”. La superteste parla di feti bruciati, gettati nel water o addirittura tritati: “Vedevo che mettevano il bimbo in una bacinella. Poi il bimbo lo portavano nell’inceneritore nella stanza accanto, mentre il resto, cioè le acque e quello che esce dopo, lo gettavano nel water”. Di bambini tritati parla anche un altro dipendente della clinica, che così espone i fatti al Pubblico ministero: “Quando Ilio Spallone alzò la bacinella che aveva davanti vidi un feto formato, con braccia e gambe di circa 25 centimetri. Vidi Spallone girarsi e andare verso il lavandino tritatutto, ebbi un mezzo svenimento e fui invitato ad uscire”[10].
I testimoni hanno descritto uno scenario mostruoso. I bambini nati vivi dopo l’aborto venivano uccisi con la tecnica dello “snipping”, come Gosnell la chiamava, ovvero recidendo loro la colonna vertebrale. Una specie di “decapitazione”, l’ha definita Stephen Massof, membro dello staff del medico, il quale ha raccontato come il dottore, con una sforbiciata secca alla colonna vertebrale, separava il cervello dei bambini dal resto del corpo. I collaboratori del dottore hanno raccontato che la clinica era frequentata giorno e notte da donne fuori tempo limite per accedere all’aborto legale. Massof ha rivelato che l’ecografo della clinica era stato modificato in modo tale che dagli esami sulle donne intenzionate ad interrompere la gravidanza risultasse un’età inferiore a quella reale, ed ha aggiunto che alle pazienti venivano spesso date dosi massicce di medicinali per accelerare la procedura abortiva, con conseguenti copiosi sanguinamenti che precedevano l’espulsione dei feti[11].
I bambini trucidati venivano messi dove capitava, nei sacchi dell’immondizia, nelle scatole da scarpe, l’FBI ne ha trovato uno congelato in un bottiglione per l’acqua. Talora le donne abortivano nel water e i piccoli espulsi venivano lasciati morire affogati. In altri casi veniva tagliata loro la gola, come rivelato da Adrianne Moton, una collaboratrice della clinica, a proposito di un aborto eseguito alla 30esima settimana. Al piccolo “Baby A” – così come è stato catalogato negli atti del processo, nelle foto che lo ritraggono morto tra i rifiuti – la stessa Moton ha tagliato la gola, dopo che la madre l’aveva abortito vivo nel bagno della clinica. “Era così grande che avrebbe potuto fare una passeggiata con me”, avrebbe sghignazzato Gosnell alla vista del bambino. Mentre Lynda Williams, un’altra collaboratrice del dottor Gosnell, ha raccontato di aver visto il braccio del bambino sobbalzare mentre lei stessa stava eseguendo un “aborto a nascita parziale”[12] come le era stato insegnato a fare nella clinica.
Troy Newman, presidente di Operation Rescue, un’organizzazione pro-life con sede in Kansas che offre una ricompensa di 25mila dollari a chi fornisce informazioni di abortisti che stanno infrangendo la legge, ha dichiarato come “ci siano numerose analogie tra Karpen e il caso Gosnell, tra le quali l’aver ignorato le denunce da parte delle autorità, che hanno permesso ad entrambi gli uomini di continuare le loro operazioni illecite”. Ad esempio, nel 1988, la 15enne Denise Montoya, è morta per emorragia dopo un aborto a 26 settimane effettuato da Karpen. Mentre nel febbraio 2005, a Houston, al Texas Ambulatory Surgical Center di Karpen è scoppiata una fogna con sversamento dei liquami nel parcheggio di una concessionaria d’auto lì vicino. Vi sono le fotografie scattate da Maribeth Smith, dipendente della concessionaria, in cui si vedono parti umane di bambini mescolate alle acque luride. “L’intera area non era altro che liquami e pezzi insanguinati – ha dichiarato la Smith -. In un punto c’erano delle piccole gambe che spuntavano fuori”. E vi è anche una telefonata documentata al 911, effettuata da un operaio del Dipartimento della Salute, per segnalare una seconda fuoriuscita alla medesima clinica per aborti. All’operatore telefonico l’uomo dichiara di essere del Dipartimento della Salute che si occupa di gestire i normali rifiuti medici, ma quello che ha di fronte va oltre le loro competenze. Afferma di vedere i feti, le dita e tutto il resto.
Le donne che si recavano nella clinica di Karpen per abortire, ricevevano dosi di Cytotec, un farmaco che provoca forti e imprevedibili contrazioni uterine: alcune di loro avrebbero abortito mentre erano in fila in attesa di vedere Karpen, altre nei bagni, e una persino nel corridoio. Deborah Edge racconta che il medico trattava molto male le donne e che toccava le più attraenti mentre si trovavano sotto sedazione. La Edge ha denunciato anche molti altri abusi che avvenivano all’interno della clinica come, per esempio, la manomissione dell’ecografo per certificare età fetali più giovani nei bambini sviluppati oltre le 24 settimane, per far risultare l’aborto entro i termini di legge o, al contrario, di un’età maggiore quando si trattava di spillare più soldi alle donne, poiché più era avanzata la gravidanza, più alto era il prezzo che veniva chiesto per interromperla. Ma la Edge ha parlato anche di uso di attrezzi chirurgici non adeguatamente sterilizzati e di riutilizzo di strumenti monouso; di aborti eseguiti a 28 settimane e oltre; di impiego di personale non qualificato e di assunzione di infermiere tramite un’agenzia interinale, per farle lavorare solo nei giorni in cui nella clinica erano programmate le ispezioni; di molestie sessuali, fatturazione fraudolenta e altro ancora. Ma, nonostante le testimonianze, le foto, e l’altra documentazione disponibile - tra cui un file in Excel risalente al 2011, con i dati di quattro mesi di fatturazione[14] – le indagini vanno a rilento, come è avvenuto a suo tempo per Gosnell, difeso da un clima politico che ne ha ignorato le denunce e si è rifiutato di ispezionare le cliniche per paura di limitare l’accesso all’aborto.
Al momento, Karpen sembra godere di un clima politico simile in Texas, che ha inspiegabilmente scelto di ignorare le testimonianze e le immagini dei bambini decapitati, analoghe a quelle che hanno mandato Gosnell in galera. “Abbiamo bisogno di giudici come quelli di Philadelphia – ha affermato Newman – che abbiano abbastanza volontà e coraggio da far rispettare la legge”. Mentre Cheryl Sullenger, che coopera con Operation Rescue, ha affermato: “La cosa più inquietante è che sappiamo che là fuori ce ne sono altri, forse anche peggiori di Gosnell e Karpen, che non sono ancora stati scoperti. Quanti sono? Non c’è modo di saperlo, ma solo il pensiero dovrebbe indurre tutti a fare una pausa di riflessione. Possiamo davvero permetterci di appoggiare cliniche abortive fuori controllo e irresponsabili? Quando lo facciamo, otteniamo ‘Case dell’Orrore’ come quella di Gosnell e operazioni evidentemente illegali come quelle di Karpen. Quelli che pagano il prezzo per la mancanza di applicazione della legge e di controllo sono coloro che non possono difendersi dallo sfruttamento di uomini come loro”.
Mark Crutcher, Presidente di Life Dynamics, un’associazione che collabora con Operation Rescue ha, invece, osservato che “quando l’aborto è legale, cose come queste accadono tutti i giorni”[15]. Crutcher ha pienamente ragione, infatti, se l’infanticidio è diventato routine e “procedura standard” nelle cliniche abortive che abbiamo visto, se l’orrore è diventato normalità, lo dobbiamo proprio alle leggi che hanno reso legale l’aborto: è la legge ad aver aperto la porta alla barbarie. Una volta che si è sancito che uccidere un bambino nel grembo materno non è reato, ovvero che la vita di quel bambino non ha valore, diverranno deboli anche i paletti che la legge imporrà. Del resto, quale abissale differenza ci sarà mai tra un feto abortito a 25 settimane invece che a 24? Eppure la legge americana dice che nel primo caso è reato, mentre nel secondo caso è legale. O pensiamo al ridicolo artificio che si sono inventati negli USA con la pratica dell’aborto a nascita parziale, per cui se il bambino viene ucciso quando ha ancora la testa dentro la donna è aborto ed il medico agisce nei termini di legge, mentre se tutto il bambino, testa compresa, fuoriesce e il dottore lo trucida in una maniera analoga, diventa infanticidio e va in galera.
C’è allora da meravigliarsi se esistono medici come Gosnell, Karpen e Spallone? E c’è forse da stupirsi se gli studiosi italiani Giubilini e Minerva hanno – ahinoi! con coerenza – parlato di “aborto post-nascita”? Se la donna può abortire nel caso in cui sussistano motivi socio-economici tali da causarle problemi di salute fisici o psichici, o se può fare un aborto tardivo se scopre che il figlio ha una malformazione, se, in generale, è lecito uccidere un figlio non nato in presenza di determinate condizioni, la logica dice che ciò dovrebbe essere ammesso anche una volta che quel figlio è nato, se sussistono quelle medesime condizioni. Ecco perché, i due studiosi hanno chiesto che l’uccisione di un neonato sia eticamente accettabile in tutti i casi in cui lo è l’aborto: “Il nostro intento era rendere esplicite certe conseguenze normative e tenere conto di implicazioni socioeconomiche: se queste sono importanti per ammettere l’aborto, allora lo sono anche se il bambino è già nato”[16]. Da qui consegue, però, la validità del ragionamento inverso, per cui se l’infanticidio di un bambino nato malformato è reato, come lo è l’infanticidio per problemi socio-economici della madre, dovrà per forza essere reato anche l’aborto. Delle due l’una: se il diritto a vivere del figlio è subordinato al suo grado di salute e alle condizioni socio-economiche della madre – dicono gli studiosi italiani - questo parametro deve valere anche dopo la nascita. Ma, se il figlio gode del diritto incondizionato alla vita, questo deve valere non solo quando è già nato bensì anche quando si trova all’interno del grembo materno, e allora l’aborto non può che essere vietato.
La scelta iniziale del “male minore” conduce, coerentemente, alla legittimazione e propagazione del Male facendolo diventare un atto ordinario. E colui che agisce seguendo la logica del “male minore” riesce persino a sentirsi come uno che ha fatto del bene all’umanità, una persona buona e giusta. Costui viene traviato dall’abbaglio insito in tale scelta, da non rendersi conto di non aver affatto scelto il bene. L’abbaglio è propriamente questo: il male minore viene identificato con il bene, e colui che sceglie il primo è convinto di trovarsi nell’alveolo del secondo, mentre, in realtà, ha pescato unicamente nel magma del male: i frutti nefasti e orrendi di questa scelta ne sono la prova tangibile. “Il dottore [Gosnell] ha un forte senso della giustizia per quel che faceva, per cui qualunque regola avesse infranto ne valeva la pena. Vede il mondo come un luogo oscuro in cui lui svolgeva una funzione nobile”[17], spiega Steve Volk, il giornalista che lo ha intervistato. “Non mi pento di quello che ho fatto – ha dichiarato Gosnell -, ero un cristiano e lo sono ancora. Il più grande peccato è il dolore di portare a termine una gravidanza indesiderata”[18]. E ancora: “Come ho fatto a uccidere quei bambini? Erano vittime di una guerra più grande, perché la loro nascita e la loro sofferenza avrebbe rappresentato un danno maggiore. Non provo rimpianto per quello che ho fatto”.
Cosa dice Gosnell? Dice che l’uccisione di quei bambini era il male minore, rispetto al “danno maggiore” causato da una gravidanza indesiderata e alla loro sofferenza se fossero nati. Gosnell si sente innocente, un “cristiano” in pace con la propria coscienza proprio perché ha scelto il minore dei mali, quel medesimo “male minore” che è alla radice della legalizzazione dell’aborto, cioè della legge che tutela la salute della donna attraverso il sacrificio del bambino. Se esistono i Gosnell, i Karpen, gli Spallone… e i teorici dell’“aborto post-nascita”, dobbiamo ringraziare le leggi che hanno introdotto l’aborto, costoro non hanno fatto altro che applicare con coerenza, radicalità e convinzione ciò che gli ordinamenti giuridici hanno sancito per legge.
Si dice che ad usarlo in Italia siano soprattutto le straniere, in verità solo perché – al contrario delle donne italiane – costoro sono “costrette” ad uscire allo scoperto ammettendone esplicitamente l’uso. Infatti, essendo sprovviste di un medico “di fiducia” collegato al Servizio sanitario nazionale, si autogestiscono, ma quando insorgono complicazioni, devono necessariamente rivolgersi all’ospedale e quindi rivelare l’assunzione del gastroprotettore. Diverso è il caso delle italiane le quali, in presenza di complicanze, saranno semplicemente ricoverate in ospedale per “aborto spontaneo”, senza bisogno di svelare alcunché. Scrive il ginecologo Bruno Mozzanega del Dipartimento di Scienze Ginecologiche e della Riproduzione Umana all’Università di Padova: “Stupirebbe che il ‘mercato’ italiano ignorasse un metodo così ‘sicuro’ sia per la donna che per il medico. […] È improbabile che il medico italiano che pratica l’aborto clandestino ricorra ancora alla tecnica chirurgica che richiede un coinvolgimento diretto, lascia tracce e lo espone al rischio di denuncia, quando invece dispone di metodi che lo tengono al di fuori di tutto”. “Se tutto procederà senza complicanze, il medico resterà disponibile fino alla fine, con un’ecografia, accerterà l’assenza di materiale in utero. Di questa gravidanza non resterà traccia. Esce da ogni contabilità. È quanto succede in oltre il 90% dei casi”.
Da anni, la relazione presentata dal Ministero della Salute sulla legge 194, stima gli aborti clandestini in una cifra compresa tra i 15mila e i 20mila annui. In un’intervista su Repubblica del 15 dicembre 2005, il demografo Massimo Livi Bacci ha parlato di “20.000 aborti clandestini in un anno soprattutto al sud e nelle fasce deboli”[20], mentre il rapporto del Ministero del 10 agosto 2010 ha indicato 15mila aborti clandestini riferiti al 2005, la maggior parte dei quali avvenuti nell’Italia meridionale, anche se il numero è sottostimato, come precisato dallo stesso Ministero. A tale proposito, dalla relazione dell’aprile 2011, inoltrata dal Ministero della Giustizia, si è potuto apprendere che i procedimenti penali aperti nel 2010 presso le Procure, per violazione della legge 194, sono stati 199 e le persone indagate 293. Il dato più alto dal 1995 dopo i 208 procedimenti del 2009. Il 46,7% dei casi ha riguardato il Nord, il 20,1 il Centro, il 21,6 il Sud e l’11,6 le isole. Il Ministero ha segnalato, inoltre, la “marcata incidenza degli stranieri”, per i quali “la percentuale sul totale delle persone iscritte presso le Procure è stata del 33,9%”; una cifra “piuttosto elevata, soprattutto se si pensa che la popolazione straniera residente al 1 gennaio 2010 costituisce solo il 7% circa dell’intera popolazione residente in Italia”. Per quanto riguarda le osservazioni avanzate dagli Uffici giudiziari indicate nel rapporto, alcuni Procuratori “pur avendo comunicato che pochi o nessun procedimento penale è sopravvenuto presso il proprio Ufficio, affermano tuttavia che vi sono certamente aborti clandestini nell’ambito del territorio di propria competenza, ma che tali aborti (spesso taciuti dalla donna, dai familiari e dai medici) rimangono nascosti, anche perché gran parte delle forze di Pubblica Sicurezza viene impegnata su altri fronti investigativi, quali ad esempio quello della criminalità organizzata (soprattutto nel Sud)”. Preso atto di ciò, si conclude che “l’esiguo numero di procedimenti non rifletterebbe la reale portata del fenomeno, che si presume invece essere largamente diffuso e praticato anche in strutture sanitarie private, e riguarderebbe in misura sempre maggiore donne extra-comunitarie”.
Ma vi è un altro dato, oltre a quello delle Procure, che fa pensare ad un numero ben più elevato di aborti clandestini (in particolare con l’uso del cytotec), ed è l’ammontare relativo agli aborti spontanei. Secondo i dati Istat del 2008 – fa presente Mozzanega –, gli aborti spontanei hanno raggiunto quota 73mila risultando “aumentati, rispetto al 1982, di 17mila casi l’anno: un incremento medio del 30% che però nelle minorenni sfiora il 70%”. Osserva Mozzanega: “Se questo surplus di aborti spontanei rappresentasse anche solo in parte gli insuccessi (5-10%) del Cytotec ne emergerebbe un sommerso di aborto illegale di dimensioni inimmaginabili a carico soprattutto delle giovanissime, le stesse che già abusano della ‘pillola del giorno dopo’”. L’anomalia è stata fatta notare anche da Franco Bonarini, docente di Demografia all’università di Padova, che così scrive nel suo saggio su sessualità e riproduzione: “L’incremento del rapporto tra aborti spontanei e gravidanze potrebbe essere conseguenza di un aumento del ricorso all’aborto volontario provocato illegalmente. Anche il più alto rischio per alcune categorie di donne, immigrate, non coniugate potrebbe essere indizio di questo fenomeno”[21]. E anche dal dottor Antonio Oriente, vicepresidente dell’Aicog, che “indica lo ‘strano’ incremento degli aborti spontanei soprattutto tra le più giovani, un fenomeno solo in parte legato alle variazioni di età e di storia riproduttiva”[22].
Se i vecchi metodi casalinghi per interrompere la gravidanza erano pericolosi, il farmaco antiulcera non è da meno, come emerge dalle osservazioni di Paolo Cremonesi, primario del reparto d’emergenza dell’ospedale Galliera di Genova: “L’abuso di Cytotec può procurare danni gravissimi al fisico di una donna, le complicazioni sono frequenti e potenzialmente fatali”[23]. Il rischio di emorragie è concreto, ed aumenta nel caso in cui venga assunto per abortire quando la gravidanza è avanzata, dato che in questo caso è necessario aumentare le dosi affinché l’aborto si verifichi. Ma il gastroprotettore nuoce anche al bambino, infatti, nel caso in cui fallisse nell’indurre le contrazioni che provocano l’aborto, il bambino sopravvissuto potrebbe nascere con seri problemi, visto che il cytotec, oltre a causare emorragie alla donna, può anche arrecare gravi malformazioni al feto.
Come si vede, la 194 ha fallito: l’obiettivo di cancellare l’aborto clandestino mediante la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza non è stato raggiunto. Nonostante la possibilità offerta alle donne di abortire legalmente e in sicurezza negli ospedali, queste continuano sia a fare da sole, che ad alimentare la domanda di quello irregolare. L’aborto illegale ha continuato ad esistere e ad essere praticato, da dottori che hanno preso il posto delle mammane autodidatte, e – per l’aborto fai-da-te – mediante l’uso di farmaci pratici e moderni al posto di preparati e strumenti antiquati. E i paladini dell’autodeterminazione femminile, come si sono posti di fronte a questo palese fallimento? In maniera alquanto imbarazzante, per non dire ridicola: dando tutta la colpa all’obiezione di coscienza. Secondo costoro, se le donne ricorrono ancora all’aborto clandestino è perché vi sono costrette a seguito dell’alto numero di medici obiettori, che non garantirebbe un’adeguata fornitura del “servizio” negli ospedali, e che porrebbe sulle spalle dei pochi medici rimasti a praticare l’aborto, un super lavoro da Ivg.
Ma è veramente così? Vi è davvero in Italia l’emergenza obiezione di coscienza che risospingerebbe le donne a domandare l’aborto clandestino? Per capire come stanno davvero le cose è significativo, innanzitutto, analizzare il tipo di clientela che si rivolge al mercato clandestino.
Dai casi scoperti dalle forze dell’ordine, dalle testimonianze, e dalle relazioni ministeriali, apprendiamo che un numero cospicuo è costituito da donne extra-comunitarie, in particolare cinesi, rumene e africane. Le immigrate hanno quindi problemi ad abortire legalmente in Italia? Sembra proprio di no, visto che la percentuale delle donne straniere che abortiscono negli ospedali italiani è arrivata al 33,9%, i motivi stanno evidentemente altrove. Per quanto riguarda ambulatori e cliniche cinesi irregolari, si sa che sono frequentati prevalentemente da donne cinesi, le quali vi si rivolgono, non perché hanno dovuto fare i conti con la mancanza di medici abortisti negli ospedali italiani, ma per motivi culturali. È infatti ampiamente risaputo, che gli immigrati provenienti dalla Cina preferiscono fare ricorso alla propria medicina tradizionale, così anche le loro donne, quando vogliono abortire, preferiscono rivolgersi ai propri connazionali. Per quanto riguarda, invece, gli aborti illegali di rumene ed africane, questi sono legati soprattutto a problemi di immigrazione clandestina e di prostituzione. Questo aspetto è stato evidenziato proprio da Repubblica che, dieci giorni dopo l’articolo di Maria Novella De Luca - in cui si lanciava l’allarme del ritorno all’aborto clandestino a causa dell’obiezione di coscienza -, usciva con un articolo[24] a firma di Erica Mamma, sulle donne straniere (soprattutto nigeriane ed ecuadoriane) che si rivolgono all’Ospedale Villa Scassi di Genova, a causa di emorragie dopo aborti fai-da-te con il Cytotec, precisando che con queste donne “il discorso dell’obiezione di coscienza non c’entra nulla”. Infatti, le immigrate che ricorrono all’aborto fai-da-te con le compresse acquistate al mercato clandestino, spesso sono irregolari prive di documenti e temono che l’andare in ospedale per abortire le possa esporre al rischio di denunce. Inoltre, per molte di loro, che sono prostitute, sono proprio i protettori a premere perché non vadano ai consultori, spingendole all’aborto irregolare, come spiega Mercedes Bo, presidente genovese dell’Aied (Associazione italiana per l’educazione demografica): “La nostra sensazione è che questo uso improprio del Cytotec sia basato sul passaparola. E che la reticenza a venire nelle nostre strutture sia dovuta alla paura di essere denunciate, in quanto la maggior parte di queste donne è senza documenti. Temono di essere rispedite a casa, e i loro protettori fanno pressione perché non si rivolgano ai consultori”[25].
Dalle informazioni disponibili apprendiamo, poi, che tra le interruzioni di gravidanza praticate nelle cliniche abusive, figurano numerosi casi di aborti oltre i termini di legge, veri e propri infanticidi di bambini nati vivi dopo l’aborto e barbaramente uccisi. Chiaramente si tratta di interventi che non possono essere eseguiti legalmente in ospedale, perché costituenti reato. Del resto, perché una donna dovrebbe accettare di spendere, senza fiatare, 22 milioni di vecchie lire per un aborto in una clinica privata, che in ospedale potrebbe avere gratis? Chiaramente, e i fatti denunciati lo dimostrano, nella clandestinità si pratica ciò che è giuridicamente proibito: gli infanticidi da aborti tardivi, i bambini nati vivi tritati, bruciati, affogati nei wc,… non hanno evidentemente nulla a che vedere con l’alto numero di medici obiettori.
Ma nella clandestinità si consumano anche altre violazioni e abusi, come gli aborti su minorenni sprovviste dell’autorizzazione di un genitore o del Giudice tutelare, e quelli sulle donne costrette ad abortire contro la propria volontà. Tutti casi in cui, ancora una volta, l’obiezione di coscienza non c’entra nulla. E allora, invece di chiamare in causa chi non ha nessuna colpa, sarebbe molto più corretto e onesto che le femministe affette da strabismo ideologico facciano uno sforzo di verità, puntando il dito, non sul medico obiettore incolpevole, ma sul dottore abortista farabutto che pratica l’aborto su una minorenne sprovvista del permesso di legge, e su quello che, accordandosi, per esempio, con la madre, il compagno, il protettore,… pratica l’aborto forzato su una donna che vuole tenere il suo bambino. Ma, a quanto pare, l’aborto e l’abortista non si toccano, meglio gridare all’obiettore.
All’aborto clandestino si rivolgono anche quelle donne - in particolare del Sud Italia -, che volontariamente scelgono, esercitando il proprio libero arbitrio, di non andare in ospedale, perché preferiscono tenere l’aborto strettamente segreto, perché non vogliono che nessuno venga a sapere che sono rimaste incinte e che hanno abortito il bambino. O, tutt’al più, non temendo di rivelare la gravidanza, preferiscono far credere a tutti che si sia interrotta in maniera accidentale e spontanea (in realtà con l’uso del cytotec), piuttosto che volontaria. C’entra qualcosa l’obiezione di coscienza?
Infine, apprendiamo che nelle minorenni, il dato degli aborti spontanei sfiora il 70% e che, proprio tra costoro, si registra anche l’abuso della “pillola del giorno dopo”. Di nuovo ci chiediamo: è forse colpa dei medici obiettori? O la colpa va forse individuata nella propaganda per l’autodeterminazione della donna, che ha propalato l’idea che si potesse liberare la sessualità femminile con l’assunzione di una pillola “magica” per ogni occasione? Pillola anticoncezionale per prevenire la gravidanza; pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo, per scongiurare la gravidanza dopo un rapporto a rischio; pillola Ru486 per l’aborto “facile” e “veloce”… Le pillole di cytotec non fanno, forse, anch’esse parte di questa mentalità? Non è, forse, il cytotec, l’ennesima pillola “miracolosa” ad uso e consumo della donna moderna e “liberata”?
Per capire come stanno davvero le cose circa l’obiezione di coscienza è significativo, inoltre, analizzare il dato relativo ai medici obiettori, confrontandolo con il numero di Ivg praticate. Ora, è certamente vero che i medici obiettori siano la maggioranza (7 su 10), ma è anche vero che la loro percentuale, dopo il balzo avvenuto nel 2006, si è successivamente stabilizzata, a fronte di una diminuzione degli aborti legali. Come si può vedere dalla relazione sull’attuazione della 194, i medici obiettori erano il 58,7% nel 2005, il 69,2% nel 2006, il 70,5% nel 2007, il 71,5% nel 2008, il 70,7% nel 2009 e il 69,3% sia nel 2010 che nel 2011. Dal 1983 al 2011 le interruzioni di gravidanza per ciascun ginecologo non obiettore si sono dimezzate, passando dalle 145 annue nel 1983 (3,3 a settimana lavorativa) alle 74 annue del 2011 (1,7 a settimana). Come si possa, quindi, affermare che il ritorno all’aborto clandestino da parte delle donne, sia da imputarsi all’alto numero di medici obiettori, proprio non si capisce, visto che i medici non obiettori hanno addirittura dimezzato il proprio carico lavorativo rispetto agli anni ’80 e, oggi, non paiono certo oberati da superlavoro da Ivg. Se si considera, infatti, che la procedura standard (isterosuzione) impegna il ginecologo per circa 10-15 minuti, se ne ricava che ogni medico non obiettore dedica all’esecuzione degli aborti la bellezza di 16(!) ore l’anno. E, soprattutto, non si capisce come si possa parlare di “ritorno” all’aborto clandestino, visto che la 194 l’aborto clandestino non l’ha mai eliminato. Visto che, nonostante la legge, è permaso e permane – come abbiamo visto - un gruppo eterogeneo di donne che, per svariati motivi, lo chiede, vi accede o lo attua.
I medici che eseguono gli aborti bastano e avanzano a soddisfare la domanda, e se un problema di accesso in alcune zone del Sud Italia è presente, questo casomai va inquadrato nell’incapacità di alcune regioni di organizzare consultori e servizi efficienti, come ha spiegato il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin: “Eventuali difficoltà nell’accesso ai servizi sono da ricondursi a una distribuzione non adeguata degli operatori fra le strutture sanitarie all’interno di ciascuna regione”. Perciò, alle accuse strumentali che vengono costantemente rivolte ai medici obiettori, la deputata Eugenia Roccella ha risposto: “Ancora una volta si dimostra quanto l’ideologia possa distorcere la realtà dei fatti. Non c’è contrapposizione fra accesso all’aborto e diritto all’obiezione”[26].
In conclusione, quando si va ad esaminare la realtà dei fatti, si vede che la 194 ha clamorosamente fallito il suo obiettivo di eliminazione dell’aborto clandestino. Ciò sancisce anche la totale disfatta dei teorici del “male minore”, secondo i quali la legalizzazione dell’aborto (“male minore”), avrebbe cancellato l’aborto illegale (“male maggiore”) e tutelato la salute delle donne. In verità, l’aborto clandestino, mai eliminato dalla legge, si è semplicemente evoluto in forme più moderne e maneggevoli, specializzandosi, da un lato, attraverso la manodopera di dottori che operano abusivamente in cliniche private o all’interno degli stessi ospedali, e, per l’aborto fai-da-te, semplificandosi, tramite l’uso di pasticche facilmente reperibili.
Intanto i bambini hanno continuato ad essere uccisi, sia con l’aborto legale (solo in Italia, in 35 anni, la legge 194 ha permesso la soppressione di 5 milioni e mezzo di figli) che con quello clandestino, nell’ambito del quale si consuma una particolare efferatezza e disprezzo verso le loro piccole vite (disprezzo che, è bene ribadirlo, è propriamente insito nelle leggi che hanno introdotto l’aborto), di cui si riesce appena a percepire la portata dai pochi raccapriccianti episodi venuti alla luce, grazie ad un collaboratore che psicologicamente crolla e denuncia, ad un altro che fornisce delle foto agghiaccianti scattate di nascosto, o finché una fogna, satura di pezzi umani e sangue, non esplode, sparando fuori l’orrore da macelleria che giorno dopo giorno con l’aborto si perpetra.
E la salute delle donne? Le donne hanno continuato e continuano a mettere a repentaglio la propria salute, non solo con l’aborto clandestino, ma anche con quello legale, perché a creare i problemi sulla salute fisica e psichica non è tanto l’Ivg non sicura fatta in clandestinità o - come sostengono gli alfieri del diritto all’aborto -, la gravidanza indesiderata portata a termine, ma la pratica abortiva in sé: è propriamente l’attuazione dell’aborto (legale o illegale che sia) a causare molti problemi e gravi conseguenze alla salute della donna. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.
Note:
In realtà, bastava fare qualche semplice computo per rendersi conto della falsità di quelle cifre: “Secondo calcoli fatti da statistici ipotizzando 3 (o addirittura 4) milioni di aborti clandestini l’anno ne derivava un tasso medio di abortività in base al quale – alla fine – tutte le donne italiane avrebbero praticato nella loro vita almeno 8 aborti procurati clandestini. Il che è ovviamente assurdo”. Inoltre “dall’Annuario Statistico del 1974 risultava che le donne in età feconda (cioè dai 15 ai 45 anni) decedute nell’anno 1972 furono 15.116, e di queste solo 409 morirono di gravidanza o di parto. Dunque anche se considerassimo tutte le morti ‘per gravidanza o parto’ come dovute ad aborto clandestino (cosa totalmente assurda) avremmo una cifra che corrisponde a 1/60 di quella della propaganda abortista”.
Che le cifre fossero assolutamente false “è stato definitivamente provato dai dati ufficiali sugli aborti legali che, dal 1978, hanno raggiunto al massimo la cifra di 240.000 all’anno, ma attestandosi subito molto al di sotto dei 200.000. Va sottolineato che, dall’entrata in vigore della legge 194, la mortalità delle donne in età feconda non ha avuto alcuna significativa diminuzione improvvisa, ciò significa che le morti per aborto clandestino in realtà erano statisticamente irrilevanti nel complesso della mortalità femminile e che la 194 non ha modificato alcunché”. Nonostante queste evidenze, c’è ancora oggi chi ha il coraggio di affermare che la legalizzazione ha fatto notevolmente diminuire gli aborti clandestini, come Daniele Capezzone il quale, quando era il segretario del Partito Radicale, raccontava “che ‘l’introduzione della 194 aveva fatto calare gli aborti clandestini del 79%’. ‘Vuole cioè farci credere – evidenzia Agnoli – che si conosca il numero preciso degli aborti clandestini, sia precedenti al 1978 sia attuali, come se non fossero appunto clandestini!’. A voler stare al gioco si dovrebbe ribattere che se gli aborti clandestini erano da 1 a 3 milioni, una diminuzione del 79% implicherebbe che ora ne vengono praticati legalmente da 790.000 a 2.370.000. Invece sono circa 130.000.” (ibid, pp. 76-78).
[2] A. Socci, op. cit., p. 79.
[3] Maria Novella De Luca, “Medici corrotti e pillole fai-da-te. Il ritorno degli aborti clandestini. Raddoppiati in cinque anni”, La Repubblica, 24 maggio 2013.
[4] Speranza Fausta, “Vi racconto la clinica degli aborti illegali”, Corriere della Sera, 16 aprile 2000.
[5] “Ilio e Marcello Spallone condannati a vent’anni”, www.repubblica.it, 25 novembre 2002.
[6] “Aborti clandestini ‘Gli orrori di Villa Gina’”, www.repubblica.it, 9 giugno 2000.
[7] S. Fausta, art. cit.
[8] Www.repubblica.it, art. cit.
[9] Ivi.
[10] Ivi.
[11] Lorenzo Schoepflin, “Aborto selvaggio negli Usa, si alza il velo”, La nuova Bussola Quotidiana (www.lanuovabq.it), 15 aprile 2013.
Contro l’aborto a nascita parziale si è schierato nel 2003 il presidente Geroge W. Bush, firmando una legge approvata dal Congresso che metteva al bando questa pratica. Il suo predecessore, Bill Clinton, aveva invece posto il veto su un analogo testo del Congresso USA. Nel 2007 la Corte Costituzionale statunitense ha confermato la costituzionalità della messa al bando dell’aborto a nascita parziale. Invece, l’attuale presidente Barack Obama, si è sempre opposto a misure che ne limitino il ricorso. Secondo un recentissimo report del Guttmacher Institute, ad oggi sono 32 gli Stati Usa ad aver intrapreso la strada federale di vietare tale tipo di pratica, tuttavia in 13 dei 32 Stati, le Corti statali hanno provveduto a bloccare il divieto. Sono almeno mille gli aborti a nascita parziale che avvengono ogni anno in America.
[13] “Another Gosnell: report shows Texas abortion doc kills babies born alive”, www.lifenews.com, 15 maggio 2013.
[14] Dal file si arguisce che il costo pagato dalle donne per abortire variava in base all’età gestazionale: le pazienti hanno versato un totale di 38mila dollari per, rispettivamente, 5 aborti costati meno di 1.000 dollari, 7 aborti tra i 1.000 e i 2mila dollari, 12 aborti tra i 2mila e i 3mila dollari, 3 più di 3mila dollari e chissà quanti mesi avevano i 2 bambini abortiti il cui costo è ammontato a 3.700 dollari!
[15] Citato da: Lorenzo Schoepflin, “Gosnell condannato, gli orrori continuano”, La nuova Bussola Quotidiana, 16 maggio 2013.
[16] Lucia Bellaspiga, “Aborto post-nascita, si riapre la polemica”, Avvenire, 12 gennaio 2013.
[17] Citato in: “‘Sono fiero di quel che ho fatto’. Così parla Gosnell, boia e guru degli aborti”, Il Foglio, 23 ottobre 2013.
[18] Citato da: Lorenzo Schoepflin, “Come Gosnell eliminava i ‘poveri’ fin dalla nascita”, La nuova Bussola Quotidiana, 8 novembre 2013.
[19] Bruno Mozzanega, “‘L’altro’aborto clandestino quello con le compresse antiulcera”, Newsletter di Scienza & Vita n. 18, 24 novembre 2008.
[20] C. Fus., “Sono numeri a effetto il fenomeno è in calo”, La Repubblica, 15 dicembre 2005.
[21] M. N. De Luca, art. cit.
[22] Renzo Puccetti, “Dove sono finiti 300mila bambini?”, La nuova Bussola Quotidiana, 24 settembre 2013.
[23] Simone Traverso, “La gang degli aborti clandestini”, Il Secolo XIX, 2 settembre 2012.
[24] Erica Manna, “Pillole fai-da-te, nuova via per gli aborti”, La Repubblica, 5 giugno 2013.
[25] E. M., “Consultori evitati acquisti su internet dopo il passaparola”, La Repubblica, 5 giugno 2013.
[26] Viviana Daloiso, “Gli aborti in calo. Il dramma resta”, Avvenire, 14 settembre 2013.