L’eutanasia – cioè l’uccisione di una persona al fine di “liberarla dalla sofferenza” – è diventata un’allettante “dolce morte” per il malato, e un “atto di pietà” per l’uccisore. Alimentazione e idratazione artificiali sono passati da “sostegni vitali” a mere “cure mediche” e poi la sospensione di queste “cure” è diventato un atto dovuto “contro l’accanimento terapeutico”.
Nell’ambito della fecondazione assistita extracorporea, la “diagnosi genetica preimpianto” – ovvero la selezione genetica degli embrioni per scegliere quelli sani e scartare quelli malati – ha trasformato l’“eugenetica” in “diagnosi”. Mentre, vendere i propri ovuli, perché in stato di povertà e bisogno, sottoponendosi a pericolosi cicli di stimolazione ovarica per la fecondazione eterologa si chiama “donazione altruistica”, affittare il proprio utero è un “atto umanitario” e percepire il compenso in entrambi i casi si chiama “rimborso spese”. I “Piani di Sviluppo” e di “Salute Riproduttiva” dell’ONU sono attuati mediante la diffusione e l’accesso a contraccezione, aborto e sterilizzazione, e così la “lotta alla povertà” è realizzata eliminando le bocche da sfamare.
L’antilingua ha trovato un terreno molto fertile nelle più cruciali e fondamentali questioni bioetiche, permettendo ai nemici dell’uomo e della vita di prevalere e sopraffare i deboli e gli indifesi. Ristabilire la verità, riconoscendo e denunciando l’imbroglio di questa chirurgia plastica linguistica, di questo restyling lessicale, diventa allora il primo passo da compiere in vista della riaffermazione della cultura della vita e del bene. La promozione della vita non può che fondarsi sulla realtà e quindi col ricominciare a chiamare le cose con il loro nome.