Gli appelli per estendere l’eutanasia anche ai bambini traggono la loro motivazione dal fatto che, anche in Belgio come nella vicina Olanda, sembra che l’eutanasia sia entrata già da un po’ anche nei reparti di pediatria divenendo prassi consolidata, come ha rivelato un rapporto[2] pubblicato nel 2005 dal Lancet, dal quale emerge la somministrazione di farmaci letali a scopo di eutanasia, sia ai neonati che ai bambini più grandi. Lo studio, realizzato nella regione delle Fiandre, si è basato sull’invio di questionari in forma anonima ai medici curanti dei 292 bambini di età inferiore a 1 anno, che erano morti nel periodo di 12 mesi da agosto ‘99 a luglio 2000. I questionari restituiti sono stati 253 su 292 (l’87%), e i medici che hanno completato le domande 121 su 175 (69%). Dai formulari è emerso che una decisione sul fine-vita era possibile in 194 casi su 253 decessi analizzati, e questa decisione è stata presa in 143 casi (57%). I farmaci letali sono stati somministrati in 15 casi su 117 morti neonatali precoci e in 2 casi tra i 77 deceduti in seguito. Lo studio ha anche mostrato che 95 medici su 121 (79%) pensavano che a volte il loro dovere professionale include la prevenzione di inutili sofferenze mediante accelerazione della morte, e che 69 medici su 120 (58%) supportavano la legalizzazione dell’eutanasia in taluni casi.
Nel 2004 il “Foro per l’informazione sull’eutanasia”, un’associazione di circa 200 medici delle Fiandre, esprime il proprio malumore riguardo alla difficoltà a reperire i farmaci per coloro che preferiscono morire a casa piuttosto che in ospedale. Costoro sarebbero discriminati rispetto ai malati ricoverati perché, pur trovandosi in condizioni di salute inaccettabili, sono costretti ad aspettare per la loro morte, vedendosi perciò leso il diritto di porre fine alla propria vita in tempi rapidi. La commissione del Parlamento federale, incaricata di valutare l’applicazione della legge, ha quindi sollecitato i medici di base a diffondere informazioni più dettagliate ai pazienti sui farmaci per l’eutanasia, e ha chiesto ai farmacisti di agevolare la vendita di detti medicinali ai dottori non ospedalieri, che incontrano molte difficoltà a procurarseli a meno di non rivolgersi a grossisti e produttori, i quali, però, preferiscono privilegiare il rifornimento alle farmacie degli ospedali.
Che i farmaci possano non funzionare e fare “cilecca” è cosa risaputa, come ha spiegato, per esempio, il dottore Kenneth R. Stevens, della Physicians for Compassionate Care Educational Foundation. Tra i suicidi assistiti praticati in Oregon – osserva Stevens – vi sono stati casi andati drammaticamente storti, anche se i rapporti annuali dello Stato preferiscono mantenere un omertoso silenzio: nel 2004, quattro persone sono vissute dalle 7,5 alle 31 ore, dopo aver assunto il cocktail mortale. A questo proposito, Ezekiel Emanuel, bioeticista americano e membro dell’Hastings Center, ha fatto presente che le statistiche mostrano che l’assunzione di farmaci letali prolunga l’agonia dei pazienti nel 15% dei casi[3]. Mentre uno studio[4] pubblicato sul New Englan Journal of Medicine, che ha analizzato i dati provenienti da due studi sull’eutanasia e il suicidio in Olanda, ha rilevato che con i suicidi assistiti “si sono verificate complicanze nel 7% dei casi, e problemi con il completamento (un tempo più lungo del previsto per la morte, fallimento nell’indurre il coma, o induzione del coma seguito dal risveglio del paziente) nel 16% dei casi”. Mentre, per quanto riguarda le eutanasie: “Complicazioni e problemi con il completamento si sono verificati rispettivamente nel 3 e 6% dei casi”. Ad un problema “di completamento” è andato incontro, per esempio, David Prueitt, un paziente terminale dell’Oregon che, nel 2005, dopo aver bevuto il cocktail mortale è entrato in coma, ma dopo tre giorni si è risvegliato, domandando sbigottito: “Che diavolo è successo? Perché non sono morto?”.
Ma non è ancora tutto. Da settembre 2008 in Belgio si è provveduto a snellire anche l’iter per sottoscrivere le dichiarazioni anticipate di trattamento che coinvolgeva medici e notai. Adesso, sottoscrivere un testamento biologico è molto più semplice e veloce dato che è sufficiente depositarlo presso gli uffici comunali.
L’anno seguente è stata, invece, concessa l’autorizzazione per l’eutanasia ad una donna anziana, sebbene non soffrisse di alcuna malattia incurabile e terminale. La 93enne Amelie Van Esbeen aveva inoltrato la sua richiesta di morte un anno prima, motivandola col fatto che si sentiva molto sofferente a causa degli acciacchi della vecchiaia, ma il permesso le era stato negato. La Esbeen non si era data per vita, dopo il rifiuto aveva tentato il suicidio e, in seguito, aveva intrapreso uno sciopero della fame, che le ha permesso di ottenere molta pubblicità sui media, di far ripartire il dibattito circa la necessità di confini più ampi per l’accesso all’eutanasia e, a conti fatti, di ottenere la tanto desiderata autorizzazione grazie alla quale, il 1 aprile 2009, porrà fine alla propria vita.
Non solo aperture all’eutanasia per chi “soffre” di vecchiaia, ad aprile 2012 nuove pressioni per estenderla anche ai dementi e ai bambini sono arrivate da Jacinta De Roeck, ex parlamentare e presidente dell’“Associazione Umanista Liberale” (HVV). Del resto le ricerche effettuate continuano ad accertare che, pur in mancanza di una legge specifica, i medici continuano lo stesso a praticare l’eutanasia anche ai bambini, come ha messo in luce un nuovo studio pubblicato a marzo 2009 dall’American Journal of Critical Care (AJCC), che ha rilevato come nel biennio 2007-2008 siano stati eseguiti almeno 76 casi di eutanasia ai bambini, in cinque delle sette unità di cure intensive pediatriche del Paese[5].
Ma lo slittamento lungo il pendio scivoloso non si ferma qui, è infatti notizia recente, la proposta presentata dal Partito socialista – che ha già ottenuto l’appoggio di diversi partiti di destra e dei verdi - di offrire il “servizio” anche ai malati di Alzheimer. “Si tratta di aggiornare la legge per tener conto in modo migliore di alcune situazioni drammatiche, di storie estremamente dolorose […] di fronte alle quali non possiamo restare senza risposta”[6], ha affermato il presidente del Partito socialista Thierry Giet.
In sostanza – osserva la Marker –, come è avvenuto nei Paesi Bassi, anche in Belgio le pratiche eutanasiche mostrano quanto corra veloce la morte indotta, prima accettata per i casi difficili, si espande fino alla morte su richiesta e, poi non c’è nemmeno più bisogno che sia la vittima a fare la richiesta.
[1] Rita L. Marker, “Assisted Suicide & Death with Dignity: Past, Present & Future”, Part III, www.patientsrightscouncil.org/site/rpt2005-part3.
[2] Veerle Provoost, et al, “Medical end-of-life decisions in neonates and infants in Flanders”, The Lancet, 9 aprile 2005, vol. 365, n. 9467, pp. 1315-1320.
[3] Citato da: Loretta Bricchi Lee, “Suicidio assistito, si amplia il fronte del no”, Avvenire, 4 novembre 2012.
[4] Johanna H. Groenewoud et al, “Clinical problems with the Performance of euthanasia and Physician-Assited Suicide in the Netherlands”, New Englan Journal of Medicine, 24 febbraio 2000, 342: 551-556.
[5] Paul De Maeyer, “Sui rischi legati all’eutanasia, il Belgio fa scuola”, www.zenit.org, 22 febbraio 2011, www.zenit.org/article-25675?I=italian.
[6] Tommaso Scandroglio, “Belgio, arriva l’eutanasia per Alzheimer”, www.lanuovabq.it, 20 dicembre 2012.