L’aspetto che immediatamente salta agli occhi è l’aumento incredibile del numero di persone che, negli anni seguenti all’introduzione, sono state sottoposte a tali pratiche. Un fatto, questo, che sconfessa appieno quanto propagandano dagli alfieri della morte autodeterminata, secondo i quali la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito non condurrebbe a derive sociali, ad incoraggiare cioè un numero più alto di malati e sofferenti a domandare la morte anticipata.
Negli Stati dove l’eutanasia e/o il suicidio assistito sono stati introdotti, non si è assistito unicamente all’innescarsi del meccanismo del piano inclinato, mediante il quale i confini per l’accesso alle pratiche eutanasiche si sono nel tempo progressivamente ampliati, ma si sono verificate anche altre pericolose conseguenze.
L’aspetto che immediatamente salta agli occhi è l’aumento incredibile del numero di persone che, negli anni seguenti all’introduzione, sono state sottoposte a tali pratiche. Un fatto, questo, che sconfessa appieno quanto propagandano dagli alfieri della morte autodeterminata, secondo i quali la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito non condurrebbe a derive sociali, ad incoraggiare cioè un numero più alto di malati e sofferenti a domandare la morte anticipata. Riporto una riflessione sulla coscienza che ho estratto dal saggio “L’elogio della coscienza. La verità interroga il cuore” (Cantagalli, 2009) di Benedetto XVI.
Nel panorama della morte on demand la Svizzera rappresenta un caso a sé: l’eutanasia attiva (omicidio intenzionale allo scopo di accorciare la sofferenza) è punibile per legge anche se è la vittima che la chiede, mentre il suicidio assistito, pur non essendo mai stato legalizzato, è ampiamente praticato dalle varie organizzazioni private nate per questo scopo. E non solo. Il Paese è pure diventato meta di un fervente “turismo della morte”, alimentato dai cittadini europei degli Stati vicini che si recano in Svizzera per essere aiutati a suicidarsi. Osserva[1] Rita Marker che vi è un’importante distinzione tra la legislazione vigente in Svizzera rispetto a quella di Oregon, Olanda e Belgio, dove l’eutanasia e/o il suicidio assistito sono esplicitamente permessi per legge ed equiparati a “trattamenti medici”. Secondo il diritto elvetico, “Chiunque per motivi egoistici, induca qualcuno a commettere suicidio o lo assista è punito, se il suicidio è riuscito o tentato, con la detenzione sino a cinque anni o con una pena pecuniaria”. In sostanza, la chiave che ha reso la Svizzera lo Stato con la legge più permissiva riguardo alla morte on demand, sta tutta nella frase “per motivi egoistici”, grazie alla quale il suicidio assistito, pur non essendo legale, non è punibile se si agisce disinteressatamente. Il Belgio approva l’“Act on Euthanasia” il 28 maggio 2002 garantendo il diritto di porre fine alla propria vita agli adulti e ai minori emancipati, ed escludendo dalla responsabilità penale il medico che attivamente la esegua. Affinché il medico sia sollevato dalla responsabilità è necessario che ci sia l’iniziativa volontaria e reiterata del paziente, il quale soffra di una malattia incurabile tale da provocare un’afflizione psicofisica persistente e insopportabile. Spetta ad una Commissione Federale di controllo vigilare sul rispetto dei requisiti e della procedura di legge. Benché fossero contro la legge – scrive Rita Marker[1] - sia l’eutanasia che il suicidio assistito sono stati ampiamente praticati nei Paesi Bassi per un certo numero di anni, grazie a una serie di decisioni giudiziarie e agli orientamenti dei medici. In Olanda, infatti, a differenza di ciò che è avvenuto negli altri Stati, è stata proprio la classe medica ad aprire la strada ad entrambe le pratiche mortifere. |
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May 2021
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