Che il linguaggio cambi, con l’evolversi della società e della cultura, è un dato di fatto, ciò non vuol dire che le parole ammodernate possano chiarire meglio il senso delle cose, anzi, spesso è vero il contrario. Succede, infatti, che i nuovi termini più che chiarire, oscurino; più che evidenziare, nascondino; più che mostrare la verità, perpetuino la menzogna. Prendiamo, per esempio, l’aborto, tramutatosi nel più rassicurante “Interruzione volontaria di gravidanza” e poi, nel più asettico “Ivg”. Per cui, oggi, non si dice più “ho abortito”, troppo desueto; ma, “ho fatto una Ivg”. E tutti sono subito più tranquilli…
Negli ultimi decenni il politically correct ha provveduto a tirare a lucido una serie di vecchie parole, sostituendo il linguaggio antiquato con una nuova terminologia scintillante e rassicurante. La correttezza politica ha, altresì, trovato un fertile terreno nell’incontro tra biologia umana e diritti, legando i due in un robusto sodalizio. Qui si è sviluppata una strategia culturale all’avanguardia, volta a manipolare la percezione pubblica sulle grandi questioni della vita, sia cambiando nome alla realtà, sia rovesciando il significato delle parole.
Che il linguaggio cambi, con l’evolversi della società e della cultura, è un dato di fatto, ciò non vuol dire che le parole ammodernate possano chiarire meglio il senso delle cose, anzi, spesso è vero il contrario. Succede, infatti, che i nuovi termini più che chiarire, oscurino; più che evidenziare, nascondino; più che mostrare la verità, perpetuino la menzogna. Prendiamo, per esempio, l’aborto, tramutatosi nel più rassicurante “Interruzione volontaria di gravidanza” e poi, nel più asettico “Ivg”. Per cui, oggi, non si dice più “ho abortito”, troppo desueto; ma, “ho fatto una Ivg”. E tutti sono subito più tranquilli… Cos’è successo alle donne? Perché sono diventate così deboli e psichicamente fragili tanto che al primo sospetto di gravidanza vanno subito fuori di testa? Una vera emergenza sociale, questa sopravvenuta fragilità femminile, per cui gli ordinamenti giuridici hanno sentito la necessità di metterla per iscritto in una legge, rendendo lecito, al fine di curare le donne da questa gravissima malattia, l’uccisione del proprio figlio in grembo.
Una volta, quando l’uomo e la donna si univano in intimità potevano generare un bambino. Oggi non è più così, uomini e donne non ne sono più capaci. Da quarant’anni a questa parte, per bene che vada, al massimo producono un “grumo”.
L’entusiasmo per la sentenza n. 162 del 9 aprile 2014, con cui la Corte Costituzionale ha aperto le porte in Italia alla fecondazione eterologa, è stato presto smorzato dalla realtà dei fatti: non ci sono gameti, mancano soprattutto donne in età fertile desiderose di donare gli ovociti. L’arretratezza italiana nei confronti della “cultura della donazione” veniva evidenziata l’11 ottobre 2014, in un articolo del giornale digitale Linkiesta[1], da Laura Rienzi - presidente della Società italiana embriologia riproduzione e ricerca (Sierr) -: “In Italia manca completamente la cultura della donazione perché nessuno ha mai chiesto ai giovani di donare il proprio seme o ovocita”. Rispetto agli altri Paesi – aggiungeva Rienzi - “noi siamo indietro di almeno 10 anni”. |
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May 2021
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