Si è sempre sentito dire e creduto che le donne non avrebbero potuto fare dietrofront dopo l’assunzione della prima pillola, scegliendo di continuare la gravidanza evitando di assumere la prostaglandina, perché l’interferenza del Mifepristone con lo sviluppo dell’embrione avrebbe certamente portato alla nascita di un bambino con gravi malformazioni. Almeno questo è ciò che si è sempre pensato finché i dottori George Delgado e Matthew Harrison non hanno messo a punto con successo il trattamento di “inversione della pillola abortiva” (“Abortion Pill Reversal”). Se il primo farmaco elimina l’azione benefica del progesterone, hanno pensato i due medici, una somministrazione alla donna di questo ormone potrebbe contrastarne l’effetto, permettendo così all’embrione di continuare a ricevere il nutrimento di cui ha bisogno per vivere e svilupparsi. L’intuizione era esatta.
Una percentuale di successo del 60-70%
Indagini scientifiche sul trattamento di “inversione” sono tuttora in corso, ma ciò che finora è emerso è che esso è efficace e sicuro sia per la madre che per il bambino. Il Dott. Delgado ha recentemente dichiarato alla NBC che al momento sta lavorando a un nuovo documento di ricerca che spera venga presto pubblicato, specificato che il trattamento ha un tasso di sopravvivenza per i bambini non nati del 60-70 per cento[1].
Gli abortisti non ci stanno
Nel frattempo – continua lifenews.com – i giornali mainstream, tra cui il Washington Post e il Los Angeles Times, hanno riportato a pappagallo la nomea di “scienza spazzatura” affibbiata al trattamento di inversione, anche se, occorre dirlo, il New York Times ha avuto un approccio molto più equilibrato, con un approfondimento della procedura a luglio di quest’anno.
Sempre nel 2016 il senatore Hill aveva sollecitato delle verifiche dei requisiti nei confronti di alcune organizzazioni pro-life tra le quali Heartbeat International. Heartbeat International è una rete no-profit di 2.200 organizzazioni pro-life che offrono sostegno alla gravidanza in tutto il mondo e forniscono assistenza telefonica 24 ore al giorno. Heartbeat è anche un fornitore CEU, riconosciuto dalla California nel 2012, cioè ufficialmente accreditato a effettuare la formazione continua agli infermieri. Per contrastare l’azione pro-life di questa e altre organizzazioni, Hill non si è limitato a sollecitare verifiche nei loro confronti: a febbraio 2016 ha anche introdotto un vero e proprio disegno di legge per rendere più difficoltosa la formazione a sostegno della gravidanza, aumentando i requisiti necessari per essere abilitati alla formazione CEU. Recentemente Heartbeat si è attirata un sovrappiù di ostilità da parte del senatore Hill, quando il 28 luglio 2017 ha ottenuto l’autorizzazione, dal California’s Board of Registered Nursing (il Consiglio degli infermieri della California), a includere nella formazione infermieristica CEU anche i corsi di formazione sull’inversione della pillola abortiva. La reazione di Hill non si è fatta attendere: ha immediatamente sollecitato il Consiglio degli infermieri affinché rivedesse il suo benestare all’organizzazione pro-life, e questo – accogliendo la richiesta del senatore - ha revocato la sua autorizzazione un mese dopo averla concessa, chiedendo a Heartbeat di “cessare e desistere” dal continuare a tenere i corsi formativi CEU sull’inversione della pillola abortiva.
Uno sforzo coordinato contro la vita, le donne e i bambini per denaro e ideologia
“Non riesco a concepire come il Consiglio degli Infermieri possa fare dei giochetti politici con la vita delle donne e dei bambini – ha aggiunto Godsey -. Se ci fosse stato il minimo accenno di non conformità da parte nostra, sarebbe sicuramente emerso durante il controllo precedente durato 17 mesi. Cosa potrà mai essere cambiato nell’ultimo mese? Nel frattempo, gli infermieri della California e della nazione potrebbero incontrare pazienti che vogliono fare dietrofront sulla decisione di abortire prima che sia troppo tardi, e queste nuove disposizioni impediscono agli infermieri di essere formati per esaudire le richieste di queste pazienti”[3].
Il cambio di rotta del Consiglio degli Infermieri si inserisce in uno scenario più ampio che mira a colpire l’opposizione politica all’aborto dello Stato della California, che propone un’alternativa all’aborto o che minaccia il mercato mortifero dell’industria dell’aborto. Oltre a perseguire le accuse contro David Daleiden e Sandra Merritt che con la loro indagine sotto copertura durata tre anni hanno smascherato la complicità di Planned Parenthood e altri nel traffico di organi e parti del corpo dei bambini abortiti, lo Stato della California ha lanciato un assalto anche contro i centri e le cliniche mediche pro-life per la gravidanza, con una legge del 2015 che – scrive Lifenews – potrebbe essere esaminata dalla Corte Suprema già questo mese.
E non solo, all’inizio del mese un giudice federale aveva respinto la causa intentata da diverse Chiese della California che avevano impugnato il provvedimento del Dipartimento di Stato della Salute che obbliga tutte le compagnie assicurative a coprire il costo degli aborti delle loro dipendenti. “Arrivati a questo punto – conclude Godsey -, è difficile non dire che siamo sorpresi da tutti gli sforzi che vengono fatti per aiutare l’industria dell’aborto in difficoltà. Ma questi sforzi rubano il diritto di scelta a una madre proprio da sotto il naso. E per motivi politici si impedisce agli infermieri, che scelgono questa professione proprio per aiutare e servire gli altri, di svolgere il loro lavoro compassionevole, la missione ricevuta da Dio”.
Ma perché, si chiede Dave Andrusko – direttore delle news del National Right to Life - una delle più grandi organizzazioni pro-life degli Stati Uniti - “gli attivisti pro-aborto vanno completamente fuori di testa quando apprendono che l’aborto chimico può essere interrotto? Perché, secondo loro, l’inversione dell’aborto deve essere non solo inefficace ma anche pericolosa?”. La prima risposta ovvia, scrive Andrusko, è che lo fanno per denaro: “L’ultimo rapporto del Guttmacher Institute riporta che nel 2014 quasi un terzo degli aborti (circa il 29,4% del totale) è stato eseguito con il metodo chimico. Questo corrisponde a un aumento di quasi il 14% in tre anni e, senza dubbio, ora la percentuale è ancora più elevata”. Quindi, per un fornitore dell’aborto “come Planned Parenthood ciò rappresenta una grossa somma di denaro”.
La seconda risposta ovvia che genera questo atteggiamento ostativo, continua Andrusko, è “l’ideologia abortista secondo la quale ogni ostacolo che si frappone all’aborto deve essere considerato ‘scienza spazzatura’, perché altrimenti le donne (e le giovani) potrebbero mettere in discussione la bontà dell’aborto per i loro bambini e per se stesse”. Per gli attivisti pro-aborto ogni cosa che mette l’aborto in cattiva luce deve essere considerata un “mito”: “È un ‘mito’ il dolore dei bambini lacerati dall’aborto alla ventesima settimana di sviluppo nel grembo materno. È un ‘mito’ il fatto che l’utilizzo di strumenti affilati nell’area degli organi riproduttivi durante l’aborto è associato a un aumento di future nascite precoci e molto precoci. È un ‘mito’ il fatto che esista una chiara associazione tra aborto volontario e aumento del rischio di cancro al seno, anche se vi sono basi biologiche evidenti di questa conclusione. E così via”.
Gli abortisti – conclude Andrusko – “devono negare qualsiasi effetto negativo sconvolgente (fisico, psicologico o emotivo) dell’aborto. Ammettere anche uno solo di essi significherebbe che l’uccisione del bambino non nato non è quella ‘soluzione’ esente da ogni conseguenza che l’industria dell’aborto propaganda”[4].
Alcune testimonianze
Rebecca
Rebekah Buell
Amy Mendoza
Mendoza decide di provarci comunque e, dopo aver trovato e contattato il “Bella Natural Women’s Care”, un centro medico che offre il trattamento di inversione e altre risorse per mamme e donne incinte, riesce a salvare il suo bambino, Cruz. "Ogni volta che lo guardo, sono così grata"[7], afferma Mendoza per nulla pentita di aver cambiato idea sulla sua decisione di abortire.
Karen Raya
Non sapendo come fare per affrontare questa situazione con un altro bambino in arrivo, a marzo di quest’anno ha deciso di abortire, ma anche lei si è rammarica immediatamente dopo aver ingerito il primo farmaco. Raya racconta quindi di aver trovato qualcosa che avrebbe potuto salvare il figlio non nato: il numero verde d’emergenza dell’Abortion Pill Reversal. La giovane si è sottoposta al trattamento di inversione e, mentre sta rilasciando l’intervista alla NBC 7, si trova al suo secondo trimestre di gravidanza. Raya dice che la bimba che porta in grembo sembra essere sana e che “ascoltare il primo battito cardiaco mi ha dato un senso di speranza, che questo programma mi sarà d’aiuto, facendomi entrare tra le statistiche di coloro che hanno potuto crescere il proprio figlio”[8].
QUI L’INTERVISTA ALLA NBC 7
In Italia tutto tace
Quello che a questo punto ci chiediamo è: se anche una sola delle 11.134 donne che nel 2015 hanno abortito con il metodo chimico avesse cambiato idea dopo l’assunzione del Mifepristone, come avrebbe potuto fare per salvare la vita al figlio? La risposta è semplice: non avrebbe potuto farlo perché non vi sono medici in Italia in grado di somministrare il trattamento di inversione. La donna in questione sarebbe quindi stata costretta ad assumere anche la prostaglandina, pena il rischio di dare alla luce un bambino malformato per le ragioni che abbiamo già indicato.
Questo ci informa che ci sono ben tre Stati dell’Unione Europea (Irlanda, Olanda, Spagna) più uno dell’Europa orientale (Ucraina) in grado di provvedere al trattamento di inversione della pillola abortiva, ma appunto il nostro Paese non c’è. Eppure, sempre dall’ultima relazione del Ministero della Salute, apprendiamo che in Italia, nel 2014, il numero dei medici obiettori è arrivato al 70,7%. E allora ci chiediamo: possibile che nel grande ammontare dei medici obiettori non se ne trovi almeno uno che voglia assumersi l’onere di portare in Italia il trattamento di inversione della pillola abortiva? Possibile che non si trovi almeno un medico che, oltre a non voler aver niente a che fare (giustamente) con una pratica dalla natura occisiva, non voglia anche impegnarsi attivamente in una pratica che (seppure nell’ambito dell’aborto) aiuti a ripristinare e salvare la vita?
Anche le donne italiane devono poter avvalersi della pratica di inversione della pillola abortiva qualora decidessero di fare dietrofront subito dopo l’inizio dell’aborto chimico, occorrono medici di buona volontà che si facciano avanti prendendosi questa responsabilità.
[2] Jay Hobbs, “300 babies have been saved from abortion after the abortion already started. Here’s how”, www.lifenews.com, 11 agosto 2017.
[3] Jay Hobbs, “California Nursing Board demands Pregnancy Centers stop training nurses how to reverse the abortion pill”, www.lifenews.com, 11 settembre 2017.
[4] Dave Andrusko, “Abortion advocates come unhinged when they learn abortions can be reversed”, www.lifenews.com, 18 agosto 2017.
[5] Jay Hobbs, art. cit.
[6] Rachel Leigh, “She took the abortion pill but regretted it immediately. Amazingly her son was saved before he died”, www.lifenews.com, 2 maggio 2016.
[7] Micaiah Bilger, “In the middle of the abortion killing her baby she changed her mind, miraculously her son survived”, www.lifenews.com, 11 ottobre 2017.
[8] Micaiah Bilger, art. cit.