MALE MINORE e MATRIMONIO GAY
Strategia vincente non si cambia. Coloro che vogliono portare a casa ulteriori “nuovi diritti” continuano, logicamente, a usare le stesse “armi” che si sono dimostrate vincenti nel conquistare i vecchi “nuovi diritti” acquisiti in passato, che abbiamo fin qui esaminato. Come vedremo nelle pagine che seguono, costoro continuano a ripetere che c’è un “far west” da debellare, continuano a cambiare la realtà cambiando semplicemente il significato delle parole e, soprattutto, continuano a predisporre la trappola del “male minore”, certi che in questo modo potranno sicuramente contare sull’aiuto dei cattolici, i quali, incapaci di imparare dagli errori passati e stregati dalla “riduzione del danno”, abboccheranno sicuramente come allocchi. È grazie al voto e all’impegno dei cattolici se l’Italia ha potuto avere tre leggi inique come quelle su divorzio, aborto e fecondazione in vitro, non tradiranno perciò le rosee aspettative dei nemici della vita, della famiglia e del Diritto Naturale, che oggi combattono per ottenere il matrimonio gay, la droga legale, l’eutanasia e la sua appendice: il testamento biologico.
“Non è accettabile che in Italia non si sia ancora introdotta una legge che faccia uscire dal far west le convivenze stabili tra omosessuali, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico” ed “è intollerabile che questo Parlamento non sia riuscito a varare una legge contro l’omofobia e la transfobia”.
Il Ddl sulle unioni civili in discussione alla commissione Giustizia del Senato, conferisce riconoscimento legale alle convivenze omosessuali assegnando loro gli stessi diritti che hanno marito e moglie: reversibilità della pensione, quota di legittima nella successione in caso di morte, iscrizione alle liste per l’assegnazione delle case popolari, diritto all’assistenza, assegno di alimenti in caso di cessazione del vincolo… una serie di diritti che per la maggior parte i conviventi possono già regolare in forma privata. Resta esclusa l’adozione di bambini, ma il divieto è solo formale, il Ddl prevede infatti la stepchild adoption, mediante la quale il partner omosessuale non biologico potrà adottare il figlio biologico del convivente, diventando anch’egli genitore del bambino a tutti gli effetti. Ora, poiché è indiscutibile che i figli possano nascere solo dall’unione di un uomo e una donna, i figli di un’unione civile non saranno altro che i bambini che le coppie gay si saranno fabbricati all’estero col ricorso alla fecondazione eterologa e all’utero in affitto, vietato in Italia. Per cui, se uno dei conviventi si procurasse un figlio all’estero, acquistando un ovocita che sarà fecondato con il suo seme e impiantato in un utero in affitto, il bambino che porterà in Italia sarà biologicamente suo e, dunque per legge, potrà essere adottato anche dal convivente. Lo stesso risultato si potrebbe ottenere anche nel caso in cui, invece di un figlio biologico, uno dei conviventi si procurasse un figlio adottivo in un Paese con una legge più permissiva di quella italiana.
Il divieto di adozione del Ddl sulle unioni civili assomiglia moltissimo ai paletti di cartone della legge 40, che formalmente introduceva il divieto di crioconservare gli embrioni, ma poi di fatto permetteva che si crioconservassero. Ma anche all’ipocrisia della legge 194, che all’art. 1 dice che lo Stato “tutela la vita umana dal suo inizio”, ma poi quella stessa vita permette di eliminarla con l’aborto.
Introvigne osserva che, anche nel caso in cui l’articolo sull’adozione dovesse essere eliminato dal Ddl, ci penserebbero poi la Corte Europea e Costituzionale a riconoscerla. La Corte Europea ha, infatti, stabilito che nessun Paese dell’UE è obbligato a introdurre istituti simili al matrimonio per le coppie omosessuali, ma se lo fa non può poi “discriminarle” rispetto alle coppie eterosessuali. Se dunque dovesse passare il Ddl sulle unioni civili senza l’articolo della stepchild adoption – scrive il sociologo italiano - “dopo pochi mesi la magistratura – italiana o europea – reintrodurrebbe le adozioni, non in base a una nuova giurisprudenza bensì a un orientamento chiaro e definito, che esiste già”.
Oltre a questi problemi, v’è anche chi ha fatto notare l’insorgenza di possibili abusi, con la nascita di unioni civili solo per convenienza: per assicurarsi la pensione di reversibilità basterà “sposare” l’amico o l’amica titolare di pensione.
“Posso scrivere sulla bottiglia ‘champagne’ ma se dentro c’è della gazzosa non si trasforma miracolosamente in Dom Perignon… Un proverbio americano dice che se un animale cammina come un’anatra e starnazza come un’anatra tanto vale chiamarlo anatra. Con qualunque clausola cosmetica a uso degli ingenui, la legge Cirinnà [sulle unioni civili] è un’anatra che cammina come il matrimonio e dà i diritti del matrimonio, adozioni comprese”.
Questo è quello che succederà anche in Italia, se dovesse passare il Ddl sulle unioni civili del PD. Una volta creato l’istituto giuridico, in tutto uguale al matrimonio, le adozioni in un modo o nell’altro arriveranno e, a quel punto, non resterà altro da fare che cambiargli il nome da “unione civile” in “matrimonio”.
Dopo questa lunga, ma necessaria, premessa arriviamo all’argomento principale della nostra riflessione, ovvero il “male minore” e di come esso si concretizza nell’ambito della questione unioni civili. Ancora una volta dobbiamo, purtroppo, constatare che il compromesso del “male minore” proviene da esponenti del mondo cattolico:
“È necessario riconoscere le unioni delle persone dello stesso sesso, perché ci sono molte coppie che soffrono perché non vedono riconosciuti i loro diritti civili; quello che non si può riconoscere è che questa coppia sia un matrimonio”.
Ragionamenti di questo tipo si possono frequentemente incontrare anche sul quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, dove, per esempio in un editoriale del 13 aprile 2013, il professore Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, minimizzava le sconcertanti parole del presidente della Corte costituzionale, Franco Gallo, che aveva invitato il Parlamento italiano a riconoscere le unioni gay. D’Agostino aveva osservato che, in effetti, Gallo non aveva chiesto la parificazione delle unioni gay al matrimonio, ma semplicemente di garantire i diritti civili delle stesse. Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, il 14 luglio 2015 ha scritto della necessità, riaffermata più volte, “di trovare un percorso sensato – una ‘via italiana’ – che affronti il nodo [delle convivenze omosessuali] su un piano diverso da quello matrimoniale… Un piano patrimoniale (che può diventare un piano della solidarietà)”.
Il compromesso cattolico, o “via italiana”, alle unioni civili consisterebbe in sostanza nell’elaborazione di un testo che riconosca le unioni omosessuali, ma non le identifichi con il matrimonio. La posizione di questi cattolici è in altre parole questa qui: no al matrimonio tra omosessuali, ma sì al riconoscimento dei diritti civili e di forme di unioni o convivenze che non si chiamino matrimonio. In definitiva, per paura che venga legalizzato il “male maggiore” (matrimonio e adozioni gay), costoro accettano il compromesso del “male minore” (unioni civili), o, detto altrimenti, per prevenire il matrimonio e le adozioni gay (male maggiore) si dà ingenuamente il proprio assenso alle unioni civili (male minore), senza rendersi conto del fatto che l’introduzione delle unioni civili è esattamente il passaggio per arrivare al matrimonio gay e alle adozioni, come abbiamo mostrato all’inizio. L’azione del “male minore”, testata ampiamente sul campo, la conosciamo bene: porterà al sicuro verificarsi del male maggiore, farà insorgere ulteriori mali non preventivati, determinerà il trionfo completo del Male.
Ha scritto Mario Palmaro:
“Sta per essere girata una nuova puntata della telenovela cattolica dedicata al cosiddetto male minore. Da una decina d’anni, la dottrina del male minore si è impossessata come un demone di importanti fette del mondo cattolico. In base a questa strategia, i cattolici in politica – e gli organi di informazione e formazione che li spalleggiano – non devono più ‘limitarsi’ (sic) ad affermare i principi non negoziabili opponendosi alle iniziative legislative che li negano, ma devono assumere l’iniziativa legislativa promuovendo leggi che affermano quei principi solo in parte, ma che impediscono l’approvazione di leggi peggiori.[…]
Come si vede, la logica è sempre la stessa: la linea del Piave morale non è più tracciata da principi invalicabili proclamati anche con l’azione politica e giuridica. Non ci si assesta più su posizioni intransigenti, del tipo: no al divorzio, no all’aborto, no ai bambini in provetta, no all’eutanasia, no al riconoscimento dell’omosessualità come valore che genera uno status giuridico. Per carità, queste posizioni non sono apertamente negate. Semplicemente, scompaiono dal dibattito pubblico.
Il politico di riferimento, al quale i cattolici hanno appaltato i temi eticamente sensibili, su questi principi tace. E diventa molto loquace nel sostenere le soluzioni di compromesso – ovviamente lodate come punto di equilibrio alto e civile – che verranno sostenute in sede parlamentare. Dunque la linea del Piave morale per i cattolici si sposta continuamente: in un certo momento coincide con il rifiuto dei matrimoni gay; in un momento successivo, arrivate le nozze gay, coincide con il rifiuto delle adozioni per i gay; in un momento ancora successivo, giunte le adozioni, il politico cattolico sposta la trincea al punto in cui si richiede che i gay siano conviventi da almeno cinque anni, e facciano la raccolta differenziata correttamente e allevino un cucciolo di cane da almeno tre. E così via. […]
Ma almeno, uno potrebbe chiedere, questa ‘dottrina del male minore’ porta davvero dei risultati? Sì: il disastro. Quando ero bambino, mio padre mi ripeteva spesso l’apologo della diga. Per quanto grande e robusta possa essere una diga – mi diceva – se in quel cemento armato si apre un piccolo forellino, e l’acqua comincia a passarci attraverso, è solo questione di tempo, e prima o poi la diga viene giù tutta quanta. Ecco, la dottrina del male minore ignora che ogni concessione fatta pubblicamente al male e alla menzogna è un buco nella diga della verità. Prima o poi, tutto è travolto dalla logica, distruttiva, del compromesso”.
Quali scivolamenti legislativi ci regalerà il matrimonio gay? Se basta l’amore per diventare titolare di diritti, nessuno potrà impedire che vengano riconosciute anche le unioni poligamiche, il poliamore (unione fra più di due persone), l’incesto, la pedofilia, l’unione tra amici (per usufruire di benefici) e - perché no? – anche la convivenza con il proprio cane o gatto. Infatti, se nella formazione del matrimonio il sentimento prende il posto della complementarità sessuale tra non consanguinei, non esiste più una base di principio per negare l’estensione del matrimonio a tutte le possibili forme di relazioni qualificate da un sentimento.
Tanto per iniziare, i figli di coppie gay che sono stati fabbricati attingendo al mercato globale dei gameti e ricorrendo all’utero in affitto, soffrono di quel medesimo vuoto biologico difficile da colmare, che affligge tutti i figli concepiti con fecondazione eterologa. In questo caso non vi sono differenze tra coppie omosessuali ed eterosessuali: lo “smarrimento genealogico”, la crisi di identità e la confusione - dovuti al fatto di non avere risposte certe alla domande fondamentali “chi sono?”, “da dove vengo? - colpisce in egual misura i figli di entrambe le unioni. Tuttavia, dal punto di vista sessuale e psicologico, i figli di coppie omosessuali hanno dei problemi di identità in più, derivanti dal fatto di crescere anche privati di una figura genitoriale fondamentale. Spiega lo psicanalista Claudio Risè:
“In assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio.
La vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare. Nei paesi anglosassoni e del nordeuropa da tempo ci sono casi di coppie omosessuali con figli: studi sul campo hanno provato che la mancanza di genitori di sesso diverso è fonte di problemi, il più evidente dei quali (quando i genitori sono del sesso opposto al tuo), è la formazione della tua immagine sessuale profonda”.
Tra le tante ricerche scientifiche disponibili, ne riporto in questa sede solo una, quella del sociologo Mark Regnerus, dell’Università di Austin in Texas[1]. Regnerus ha realizzato una delle migliori ricerche mai condotte in questo campo, sia per il fatto di aver preso in esame un campione molto numeroso, casuale e rappresentativo, sia per aver condotto lo studio su persone ormai adulte (18-39 anni) e indipendenti, cioè che non vivevano più nelle case dei genitori gay che li avevano cresciuti. Lo studio ha scoperto che i figli cresciuti in famiglie omosessuali sono dalle 25 alle 40 volte più svantaggiati rispetto ai coetanei cresciuti in famiglie normali. In particolare, i primi sono risultati 3 volte più soggetti alla disoccupazione (solo il 26% aveva un lavoro fisso contro il 60% della media) e 4 volte più soggetti a ricevere assistenza pubblica (sono stati supportati dai servizi sociali il 69% dei ragazzi cresciuti da omosessuali contro il 17% di quelli provenienti da famiglie etero). I figli di genitori gay si sono inoltre dimostrati più propensi al tradimento (40% contro 13%), ad avere un maggior numero di relazioni e partner sessuali, a ricorrere alla psicoterapia (19% contro 8%), e molto più soggetti a essere arrestati, a dichiararsi colpevoli di atti criminali, a fumare, a drogarsi e a pensare al suicidio (il 12% vi ha pensato di recente, contro il 5%).
Ma lo studio di Regnerus ha messo in luce anche altri aspetti più allarmanti. Il 23% dei figli cresciuti con una madre lesbica ha dichiarato di essere stato palpeggiato, contro il 2% dei giovani cresciuti in una famiglia eterosessuale. Il 31% di chi è cresciuto con una madre lesbica e il 25% di chi è cresciuto con un padre gay sono stati abusati sessualmente e costretti al sesso forzato, contro l’8% di chi è cresciuto con genitori eterosessuali. Il 25% di coloro che sono cresciuti con genitori gay ha contratto malattie sessualmente trasmissibili, contro l’8% degli altri. Infine, si è definito eterosessuale solo il 61% dei figli di madre lesbica e il 71% di quelli di padre gay, contro il 90% di chi è cresciuto con genitori eterosessuali.
E chissà cos’altro ci riserverà in futuro questo sciagurato “nuovo diritto”, visto che il “male minore” sa riservare amare sorprese, in termini di male, anche a distanza di tempo.