MALE MINORE e DIVORZIO
La strategia usata dal fronte divorzista fu la stessa che qualche anno più tardi sarà replicata per favorire l’introduzione dell’aborto: la menzogna insistentemente ripetuta. Con numeri enormemente contraffatti, le separazioni coniugali furono presentate come un’emergenza sociale che coinvolgeva almeno cinque milioni di persone! Una cifra inverosimile che comprendeva nonni e parenti dei separati fino alla quinta generazione.
Se sono così tante le persone colpite – si disse – è giusto intervenire, per permettere a questa moltitudine infelice di ritrovare la serenità perduta a causa di un matrimonio sbagliato. La legalizzazione del divorzio rappresentava così il “male minore” rispetto al “male maggiore” di un matrimonio sbagliato e alla conseguente sofferenza dei coniugi e dei loro figli. “Meglio divorziare che far soffrire i figli”, si sente ancora oggi ripetere da chi è favorevole allo scioglimento del matrimonio, veicolando l’idea del divorzio quale rimedio contro le tensioni coniugali e le loro ricadute sulla prole.
Prima di proseguire nell’analisi delle conseguenze del divorzio legale, occorre precisare che esistono situazioni eccezionali relative a matrimoni tragicamente problematici, dove la convivenza per un coniuge e per i figli è effettivamente divenuta intollerabile. In tali situazioni – fortunatamente molto rare - la cessazione dell’obbligo di coabitazione sotto lo stesso tetto può, in effetti, essere un bene. Anche il Codice di Diritto Canonico riconosce in questi casi particolari la giustezza della separazione, si legge infatti al n. 1153:
“Se uno dei coniugi compromette gravemente il bene sia spirituale sia corporale dell’altro o della prole, oppure rende altrimenti troppo dura la vita in comune, dà all’altro una causa legittima per separarsi, per decreto dell’Ordinario del luogo e anche per decisione propria, se vi è pericolo nell’attesa”.
“In presenza di casi in cui una parte della realtà si svolge in difformità dai principi e dalle norme è socialmente meglio lasciare che questi casi si svolgano fuori della legalità, anziché modificare la legalità per ricomprendere quei casi. L’eccezione, che pure è prevedibile, non deve determinare la regola, perché i casi ‘sfortunati’ non possono divenire la norma, neppure da un punto di vista ideale, se non si vuole indebolire l’istituto, la norma stessa.
La legalità, ciò che è riconosciuto come bene, il dover essere, infatti, hanno una funzione essenziale nella vita dell’uomo: lo influenzano, lo educano, lo spingono ad assumersi le responsabilità con una certa consapevolezza. Sapere che il matrimonio è una scelta per la vita, porta certamente a darle il giusto peso, a prepararlo con grande attenzione, a viverlo, anche nei momenti di difficoltà, con quella capacità di sacrificio e di rinuncia che possono rimuovere ogni ostacolo e rilanciare l’amore tra due persone. E poi il matrimonio non è solamente l’esperienza romantica e sentimentale di due persone: permane anche quando l’amore viene meno: ci sono infatti dei figli, verso i quali gli sposi hanno un dovere e che hanno bisogno di due genitori, di due figure complementari e diverse. La famiglia è infatti la mirabile unione di età, generi, e ruoli diversi: è qui che si imparano il rapporto generazionale, la propria identità sessuale, la solidarietà, la rinuncia, lo stare con gli altri… Per questo si può essere contrari alla legalizzazione del divorzio anche senza essere credenti, cattolici”.
“Il divorzio ha il vantaggio di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. D’accordo. Ma presenta anche uno svantaggio che è, a mio avviso, ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante. Dobbiamo ricordare innanzitutto che ogni matrimonio, prima o dopo, corre qualche serio pericolo. Uomini e donne sono troppo diversi gli uni dagli altri per andare costantemente d’accordo… Che cosa succede in questo momento pressoché inevitabile in qualsiasi unione matrimoniale, se esiste la possibilità del divorzio? Quel che succede l’ho visto in Inghilterra, in Germania, in Scandinavia. La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. E ogni indebolimento della volontà dei coniugi è gravissimo, anzi fatale, perché, nei matrimoni davvero pericolanti, solo un grande sforzo da parte di entrambi, senza indecisioni e incertezze, può salvarli. Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si ripercuote su tutta la vita sociale.
L’indebolimento, inoltre, si ripete a ogni successivo matrimonio di chi si sia già divorziato. L’esperienza dei paesi col divorzio conferma quanto sa benissimo ogni studioso di psicologia. Le difficoltà del primo matrimonio risorgono quasi immutate nel secondo, perché la loro causa fondamentale non risiede nel partner, cioè nell’altro coniuge, bensì in noi stessi… Là dove vige il divorzio è più facile, come in Scandinavia, la gente passa di matrimonio in divorzio tutta la vita. Vi risparmio la descrizione delle conseguenze per i figli, perché furono descritte già migliaia di volte… Sono convinto che l’assenza di divorzio non può salvare tutti i matrimoni, ma ne salva molti che altrimenti finirebbero male. Lo Stato, per la salvezza della famiglia, che è un istituto di importanza ovvia, e per la felicità della maggioranza dei cittadini, fa quindi bene a mio avviso a non permettere il divorzio, anche se questo sacrifica l’esistenza di una minoranza verso i quali tutti sentiamo, si capisce, una profonda comprensione” (citato in Gabrio Lombardi, Perché il referendum sul divorzio?, Ares, 1988).
Come abbiamo più volte osservato, quando una pratica illegale ottiene legittimazione formale, tenderà rapidamente a perdere il carattere di gravità e di eccezione che prima della legalizzazione le apparteneva, trasformandosi in una pratica normale, sempre più accettata, e perciò destinata a diffondersi. Questo è accaduto anche con il numero dei divorzi, aumentati nel corso degli anni in maniera crescente: 10.618 divorzi nel 1975, 11.844 nel 1980, 15.650 nel 1985, 27.682 nel 1990, 27.038 nel 1995, 37.573 nel 2000, 47.036 nel 2005, 54.351 nel 2008, 54.456 nel 2009. In sostanza, dal 1975 al 2009 il numero dei divorzi è quintuplicato, mentre nel frattempo – secondo i dati Istat - i matrimoni sono diminuiti sempre più, con una variazione media annua del -1,2%, che nel biennio 2009-2010 è arrivata al -6%. L’avvocato civilista Massimiliano Fiorin, ha osservato che in Italia ogni anno i figli coinvolti nei divorzi sono tra gli 80 e i 90mila, di cui circa la metà ha meno di unici anni al momento del crac familiare.
Ora, se la linea del male minore funzionasse ci dovrebbero essere ogni anno, stando a questi dati, almeno 100mila genitori e circa 85mila figli che scoppiano di gioia e felicità, per aver ritrovato l’auspicata serenità dopo la salutare rottura familiare. Tuttavia, se si va a guardare la realtà dei fatti, emerge uno scenario ben diverso. Si può infatti notare che, con la diffusione del divorzio nella società, sono aumentati sia la povertà delle famiglie che i costi a carico della collettività; che i conflitti di coppia invece di sedarsi si sono acuiti, sfociando non di rado in fenomeni violenti e drammatici; tutto questo continua a ripercuotersi sulla prole e ad arrecare profonda infelicità e immenso dolore a tutti i soggetti coinvolti.
In questo panorama distruttivo, che vede le famiglie di separati farsi la guerra, impoverirsi economicamente e diventare molto più infelici di prima, si è radicata una delle più potenti lobby contemporanee, la cosiddetta “fabbrica dei divorzi”, che con le rotture coniugali ci va letteralmente “a nozze”. Si tratta di un apparato influente e vorace (avvocati, psicologi, assistenti sociali, periti, consulenti, ecc.), che campa con le rotture familiari e che, non avendo perciò alcun interesse a che i conflitti si risolvano in maniera pacifica, si muove in maniera tale da tenere accese le ostilità, spaccando ancor di più i già fragili equilibri delle coppie in crisi.
In definitiva, fatti salvi quei casi eccezionali di cui si diceva all’inizio, per i figli è infinitamente meglio avere dei genitori che litigano ma rimangono insieme, piuttosto di genitori che si lasciano, mandando tutto all’aria. Molto interessante in proposito è lo studio americano “The Case for Marriage” (L. J. Waite, M. Gallangher, Doubleday, New York, 2000) condotto su un campione di persone che consideravano infelice il proprio matrimonio, che ha confutato proprio l’equazione: divorzio uguale felicità. Lo studio ha evidenziato che, cinque anni più tardi le rilevazioni iniziali solo il 19% di chi aveva divorziato e si era risposato ha detto di essere felice, mentre ben il 64% di chi era rimasto insieme al coniuge ha dichiarato che, superato il momento di crisi, il suo matrimonio era poi diventato molto felice.
I ricercatori statunitensi Patrick F. Fagan e Aaron Churchill, che hanno raccolto i risultati di una grande quantità di ricerche pubblicate sull’argomento e autori dello studio “The effects of Divorce on Children”, hanno concluso che il divorzio ha implicazioni negative sui bambini e sulle cinque principali istituzioni della società: la famiglia, la Chiesa, la scuola, il mercato e lo Stato.
Non solo, quindi, il divorzio non permette agli ex coniugi e ai loro figli di stare meglio di prima, ma trasmette altresì i suoi effetti deleteri a livello globale, arrivando a colpire le istituzioni e la collettività… se questo è il “male minore”!
Questa nuova tendenza non fa altro che frammentare, impoverire e rendere ancora più fragili e sole le famiglie e le persone, ma è altresì foriera della nascita di nuove problematiche, come ha evidenziato la Neodemos, un’associazione italiana indipendente che si occupa dello studio dei cambiamenti demografici. La Neodemos ipotizza che, da un lato
“l’aumento delle separazioni e dei divorzi in tarda età potrà influire sulla capacità dei coniugi di dare cura ai figli e soprattutto agli eventuali nipoti. Dall’altro lato la diffusione del fenomeno potrà minare gli equilibri che soddisfano i bisogni di cura espressi dagli anziani stessi sia nei confronti dell’ex coniuge sia nei confronti delle generazioni successive. La questione appare particolarmente rilevante in una società come la nostra, che si regge in larga parte sullo scambio di risorse materiali e simboliche all’interno della famiglia”.
Dagli studi del fenomeno in Paesi come Usa e Gran Bretagna, risulta che il divorzio tardivo penalizza soprattutto le donne, che spesso hanno un minor reddito e faticano maggiormente a risollevarsi con una nuova unione, perché con l’età avanzata per loro è più difficile riuscire a trovare un nuovo compagno. Per contro, gli uomini over 60 si risposano più facilmente, ma più di frequente perdono i rapporti con i figli, specie se sono di classe sociale medio bassa, mancandogli in vecchiaia cura e affetto.
In conclusione, bisogna ancora una volta prendere atto del fatto che anche la legalizzazione del divorzio, al pari di quella dell’aborto e della fecondazione artificiale, è stato un errore gravissimo e un indubbio fallimento, che non solo non ha permesso di prevenire il male maggiore di partenza – non avendo restituito né gioia né serenità ai coniugi in crisi e ai loro figli -, ma ha propagato il male in tutti gli strati sociali e nelle principali istituzioni della società, determinando a conti fatti: frammentazione, disgregazione, povertà, solitudine, precarietà, più fragilità, più sofferenza, più costi sociali… in ultima analisi, più infelicità.
Si può quindi affermare, senza esagerare, che quando una famiglia si sfascia ci rimettono tutti, meglio quindi, per il bene di tutti, la famiglia unita e stabile invece del “male minore” del divorzio. È sul bene che uno Stato saggio e lungimirante dovrebbe orientare leggi ed energie: sulla coesione della famiglia e non sulla sua sempre più rapida dissoluzione!