MALE MINORE e ABORTO
Oltre all’innegabile fallimento degli obiettivi iniziali, si sono registrate anche altre conseguenze, la più grave delle quali è senz’altro l’aumento abnorme del numero degli aborti legali. La legalizzazione ha normalizzato l’atto abortivo banalizzandone la gravità. In questo modo l’aborto - che rimaneva pur sempre un atto immorale anche quando, dopo una decisione tormentata e in casi del tutto eccezionali, si ricorreva alla “mammana” -, è diventato una pratica sempre più diffusa e utilizzata come fosse un semplice strumento di controllo delle nascite.
Ma non è ancora tutto. Il disprezzo per il bambino concepito, propriamente insito nella legge sull’aborto - una legge che perviene alla tutela della salute della madre mediante l’eliminazione fisica del figlio -, ha portato al consolidamento di una disumanità sempre più ferina. In Italia ciò si è verificato nell’ambito delle Ivg clandestine (continuate a essere richieste e praticate anche dopo la 194) dove regnano business e speculazione. Le forze dell’ordine hanno puntualmente portato alla luce, nel corso degli anni, numerosi casi di abusi sulle donne e di pratiche raccapriccianti su bambini nati vivi dopo aborti tardivi praticati oltre i termini di legge, bambini eliminati in modo atroce e cruento: tritati, inceneriti, affogati nei wc…
Più di recente abbiamo avuto modo di assistere, ancora una volta, al funzionamento del “piano inclinato”, grazie a due studiosi italiani che hanno mostrato al mondo come sia possibile, sulla base dell’impianto logico della legge 194, spingersi persino più in là dell’aborto tardivo. I ricercatori Alberto Giubilini e Francesca Minerva hanno introdotto la definizione politically correct di “aborto post nascita”, per designare la plausibilità dell’uccisione di un figlio dopo essere stato partorito, ovvero l’ammissibilità dell’infanticidio. |
Da ultimo, non si può non condividere l’opinione di quegli economisti che vedono proprio nella denatalità delle ultime quattro decadi l’origine della grave crisi economica che stiamo vivendo. Di questa contrazione demografica l’aborto è di certo responsabile, visto che grazie al suo ricorso è stata spazzata via in Italia un’intera generazione: più di 5 milioni e mezzo di figli. Una crisi caratterizzata dalla forte contrazione dei consumi, da una società sempre più vecchia e, perciò, con costi fissi sempre più elevati e la prospettiva di un sistema previdenziale e sanitario votato al collasso. Almeno finché il problema non verrà risolto dai promotori dei “diritti per tutti” con l’introduzione anche in Italia dell’eutanasia, che permetterà di eliminare anzitempo, prima della normale “scadenza” naturale, un buon numero di persone vecchie, malate e “inutili”. Appare più che mai profetica la considerazione fatta da Arendt secondo cui chi ammette il “male minore” lavora per la distruzione del suo popolo, per la sua stessa rovina.
Come non riconoscere poi – per rimanere entro le considerazioni della filosofa tedesca -, la stretta analogia che passa tra la “banalità del male” e la “banalizzazione dell’aborto”? Arendt dice che l’argomento del “male minore” ha “abituato la popolazione ad accettare il male in sé”. Lo stesso è accaduto con il “male minore” dell’aborto legale: l’uccisione deliberata di un figlio nel grembo materno è diventata un atto normale e banale, quando non addirittura un diritto sacrosanto e intoccabile della donna. Anche l’aborto legale ha messo in moto un vero e proprio “armamentario criminale”, provocando a livello mondiale un autentico genocidio, con la soppressione di più di un miliardo di innocenti mai nati. Un genocidio, tra l’altro, ancora prepotentemente in corso, ben più generalizzato e insidioso di quello consegnatoci dalla storia del Novecento. Più generalizzato, perché questo non si accanisce solo su un popolo, ma colpisce in maniera indiscriminata i bambini di ogni nazionalità; e più insidioso, perché l’orrore e i cadaveri non si vedono, né vi sono superstiti che possono testimoniare le atrocità subite ottenendo giustizia davanti a un giudice. Anche oggi, come al tempo di Eichmann, viviamo “in un’epoca di crimine legalizzato dallo Stato”, un’epoca dove le vittime sono catalogate come “rifiuti speciali”, i forni crematori si chiamano “inceneritori ospedalieri” e sono collocati, non all’interno di campi di sterminio sporchi e inumani, ma in cliniche private e ospedali pubblici, lindi e sterilizzati.
“Non mi pento di quello che ho fatto, ero un cristiano e lo sono ancora. Il più grande peccato è il dolore di portare a termine una gravidanza indesiderata.
Come ho fatto a uccidere quei bambini? Erano vittime di una guerra più grande, perché la loro nascita e la loro sofferenza avrebbe rappresentato un danno maggiore. Non provo rimpianto per quello che ho fatto”.
“Ero legato al mio giuramento d’obbedienza e dovevo occuparmi nel mio settore dell’organizzazione dei trasporti. Non ero sciolto dal mio giuramento. Quindi non mi sento responsabile, nel profondo di me stesso. E mi sento liberato da ogni colpa”.
Il dottor Valter Tarantini è un ginecologo che pratica aborti da quando la 194 è entrata in vigore, queste sono le sue osservazioni in merito alla “banalizzazione dell’aborto”:
“Oggi l’aborto non è più l’estrema ratio. Interrompere una gravidanza è diventata una cosa normalissima. Anzi meno importante delle altre. Prima lo si faceva per combattere la morale. Il frutto che vedo oggi è che la morale non c’è più e che l’80 per cento delle mie pazienti sono recidive. Ogni paziente ha avuto in media dai tre ai sei aborti. Ma ho incontrato anche una donna che era alla quarantesima Ivg […] Perciò dico che questa legge controlla le nascite e che sbaglia chi dice che, grazie alla sua buona applicazione, gli aborti sono diminuiti. Se li contiamo in rapporto ai bambini nati si vede che non hanno fatto altro che aumentare.
Le peggiori recidive sono ricche, istruite e sanno benissimo cos’è la contraccezione, ma per loro l’aborto è un fatto così banale che è uguale a prendere la pillola, non c’è differenza. Anzi per alcune è meglio. Mi dicono: ‘Sa dottore la pillola fa male, mi fa ingrassare’…
Mi chiedo perché sia sparito tutto questo. Perché si sia perso il senso della vita. Le faccio degli esempi. Una ragazza di 25 anni è arrivata con l’amica ridacchiando a chiedere l’Ivg. Vedono il bambino nel monitor e iniziano a ridere: ‘Che carino – dicevano – guarda come si muove’. Oppure penso a una che mi disse: ‘Dottore non è che mi lascia la foto dell’ecografia come ricordo?’. Per non parlare delle domande più frequenti: ‘Dottore era maschio o femmina? Quando posso avere rapporti sessuali? Quando posso mangiare?’…
L’aborto è un affare sporco che nessuno vuole guardare più. Né i medici, né la società, né le donne che non sanno più di che si tratta…
Prima c’erano gli ideali, la vita si dava per qualcosa. Oggi non interessa più nulla se non il piacere passeggero, l’edonismo sfrenato. Mia madre invece mi ha voluto bene, si faceva il mazzo per me e anche a suon di schiaffi mi diceva cosa era bene e cosa male”.
L’aborto è l’uccisione deliberata di un figlio nel grembo materno, un figlio abortito è sempre un figlio ucciso sia che si tratti di aborto clandestino che di aborto in ospedale “libero, sicuro e gratuito”. Ogni atto che tende direttamente a distruggere una vita umana è un male senza se e senza ma, un atto intrinsecamente cattivo, che viola sia il Diritto Naturale che i Comandamenti di Dio. Per questo motivo la 194 – una legge scellerata, ignobile, immorale – dev’essere abrogata, e il delitto di aborto vietato e sanzionato. Solo così si potrà uscire dalla barbarie in cui è precipitata l’umanità, salvandola dall’autodistruzione, dalla sua ineluttabile rovina.
Note:
[2] Ho trattato questo argomento nel seguente articolo: “L’aborto fa male anche all’uomo, danneggiando gravemente i cinque elementi chiave dell’essenza maschile”.
[3] Giovanni Paolo II nel Messaggio per la celebrazione della 28° giornata mondiale della pace.