CONCLUSIONE
Non pochi analisti ritengono che la grave crisi economica che stiamo vivendo sia il frutto maturo della deriva morale iniziata quarant’anni fa con l’introduzione del divorzio (1 dicembre 1970); proseguita tre mesi dopo con la semina del primo germe di mentalità contraccettiva, quando la Corte costituzionale ha abrogato l’art. 553 del codice penale che vietava la produzione, il commercio e la pubblicità degli anticoncezionali (10 marzo 1971); portata avanti dalla legge sull’aborto (22 maggio 1978) e poi dalla legge sulla fecondazione extracorporea (19 febbraio 2004).
“La crisi economica che stiamo attraversando ha una causa strutturale che tutti fanno a gara per occultare: l’inverno demografico, ovvero la forte denatalità. E guarda caso, questo inverno comincia proprio con l’introduzione del divorzio. A metà degli anni ’60 in Italia c’era stato il baby boom (nascevano 2,7 figli per donna) e ancora nel 1970 il tasso di fecondità sfiorava i 2,5 figli per donna. Da qui però comincia la discesa, dapprima lieve poi un vero e proprio crollo dopo il referendum. Al punto che già all’inizio degli anni ’90 l’Italia aveva raggiunto i livelli minimi di fecondità, a 1,2 figli per donna.
Coincidenza? Non proprio. Non ci vogliono certo gli specialisti per capire che la fecondità è aiutata dalla stabilità familiare. I figli nascono in genere all’interno di un progetto che è per la vita. Se ci si unisce con la prospettiva di qualche anno o ‘finché dura l’amore’ è ovvio che si sarà meno propensi a mettere al mondo dei figli, che poi – se si divorzia – sono tutte beghe legali. E infatti i numeri sono lì impietosi a farsi beffe di tutte le ideologie e i discorsi sulla modernità. Sancita la legittimità del divorzio, teorizzata la precarietà del rapporto, ratificata dal voto popolare, ecco il crollo demografico.
Non solo: se va in crisi quella che la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo definisce la ‘cellula fondamentale della società’ e la nostra Costituzione ‘società naturale’, inevitabilmente tutta la società tenderà a una maggiore conflittualità e lacerazione. È come il nostro corpo: se ci sono alcune cellule tumorali in giro, non si ammala solo un unico organo ma tutto il corpo ne soffre e alla fine muore. Così è per la società: come si può pensare di superare la conflittualità sociale o sentire l’appartenenza a un popolo se per legge si è deciso di rendere conflittuale e instabile la famiglia, sua cellula fondamentale?”.
“L’origine di questa crisi economica non risiede nell’uso sbagliato di strumenti finanziari da parte di banchieri o politici o finanzieri. Questa crisi trova origine nel fatto che abbiamo negato la vita, non abbiamo fatto figli, e oltre a non farli, li abbiamo anche uccisi e quindi abbiamo ridotto la crescita della popolazione al di sotto dei ritmi naturali, penalizzando gravemente la crescita economica, lo sviluppo, il benessere…
Cosa provoca un sistema economico che non fa figli? […] Le ‘non nascite’ provocano una forma di congelamento del numero della popolazione e conseguentemente l’aumento dei costi fissi di una struttura economica […]: ci sono meno giovani che accedono al mondo del lavoro e della produttività e più persone che escono dal mondo del lavoro per anzianità. Questo provoca da un lato una minor produttività, un rallentamento del ciclo dello sviluppo sociale, quindi meno coppie si sposano, meno coppie fanno figli e dall’altro aumentano i costi fissi. Perché le persone che invecchiano hanno un costo maggiore come pensioni e come sanità. […] La crescita zero provoca l’impossibilità di ridurre le tasse perché aumentano i costi fissi: nel 1975 il peso fiscale in Italia era il 25% del prodotto interno lordo, oggi è il 45%. Il fenomeno delle culle vuote non solo rallenta completamente la crescita ma fa crollare il tasso di accumulazione del risparmio, perché la famiglia singola, la famiglia con un solo figlio tende a non risparmiare, perde motivazioni e non vede grandi prospettive”.
“Nella società degli anticoncezionali, magari persino nelle scuole, non aumentano solo le gravidanze premature; non aumentano solo, spesso, gli aborti, come ‘rimedio’ all’errore; non aumenta solo l’incapacità di guardare ai figli come ad un dono e non come ad un impiccio; non aumentano solo, come accade oggi, la sterilità femminile, dovuta anche alla precocità dei rapporti, e l’impotenza, maschile, ovvia conseguenza di un eccesso di sesso, ma crescono anche i tradimenti, le separazioni, i divorzi: l’infelicità, insomma.
Negli ultimi trent’anni, in parallelo alla crescita di modelli affettivi deresponsabilizzati, separazioni e divorzi nel nostro paese sono quasi quadruplicati. Uno dei motivi è senz’altro la distruzione di quel periodo fondamentale di conoscenza tra un maschio e una femmina che è il fidanzamento: periodo in cui due persone si conoscono, non dal punto di vista fisico, sessuale, carnale, ma spirituale. Perché solo quando si saranno veramente conosciuti, apprezzati, compresi, ad un livello profondo, la loro unione carnale sarà vera, sentita, viva, e non un uso, momentaneo ed effimero, del corpo altrui, per piacere proprio. Quando invece l’unione carnale, cosiddetta ‘sicura’, diventa solo un gioco, si finisce per prendere abbagli colossali.
Si arriva a credere che quella persona che soddisfa, in un dato momento, il nostro desiderio fisico, sia poi capace di essere anche il compagno o la compagna di una vita. E ci si sposa avendo conosciuto corpi, non persone, con il rischio di accorgersene quando è troppo tardi”.
“Bisogna offrire ai giovani modelli positivi; bisogna indicare non un presunto ‘male minore’, ma il bene. Non diciamo ai nostri bambini piccoli: ‘Mi raccomando, se butti per terra le carte, per piacere, buttane poche’; e neppure: ‘Se proprio vuoi picchiare tuo fratellino, non in faccia, ma sul sederino, per favore’. Perché se lo facessimo, sapremmo molto bene che il figlio butterà per terra le carte, prima piccole, poi grandi; che continuerà a picchiare il fratellino, prima piano, poi magari più forte… Insomma: educare significa far capire chiaramente che esiste una distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Che occorre sempre tendere al bene, perché è esso che ci realizza, anche se costa fatica e richiede impegno”.
Contraccezione, aborto e divorzio hanno alla base una radice comune: il rifiuto delle proprie responsabilità. Scrive Cascioli:
“Il matrimonio ‘riparatore’ – che nell’Italia di 50-60 anni fa era ancora un obbligo sociale per chi causava la gravidanza della propria fidanzata – pur con tutti i suoi limiti svolgeva però anche una funzione educativa, perché richiamava alla responsabilità personale: si può sbagliare, ma alle proprie responsabilità non si sfugge. La mentalità contraccettiva cancella proprio questa responsabilità e non a caso quello che continua a essere spacciato per uno strumento di emancipazione della donna è in effetti causa di una sua maggiore solitudine e sofferenza. Perché è soprattutto l’uomo che in questi casi può facilmente fuggire le proprie responsabilità”.
Contraccezione, aborto e divorzio hanno un'altra caratteristica che li lega: sono tutti atti divisivi, cioè atti che creano separazione, divisione, lacerazione. Con la contraccezione vi è separazione tra atto unitivo e procreativo; nell’aborto vi è la separazione violenta e mortale del figlio dalla propria madre; con il divorzio si realizza la definitiva separazione tra i coniugi, foriera di profonde lacerazioni anche nella prole.
In questo sconquasso comunemente accettato e trasformatosi in routine, non può che fiorire un’altra separazione: la fecondazione in vitro omologa. Nella fecondazione extracorporea la procreazione non dipende più dall’atto sessuale dei coniugi, atto sessuale e atto procreativo sono totalmente separati. La fecondazione eterologa è il logico passo successivo: qui la separazione diviene anche genetica. Vi è nell’eterologa la stessa logica di fondo del divorzio: se dal punto di vista giuridico il divorzio mi permette di scomporre e ricomporre la famiglia con chi mi pare e piace, non vedo perché ciò non dovrebbe essere consentito anche dal punto di vista biologico. La fecondazione eterologa è, perciò, figlia della mentalità divorzista: il divorzio ha separato la famiglia giuridica, l’eterologa la famiglia biologica. Al pari di contraccezione, aborto e divorzio, anche l’eterologa – oltre ad avere un carattere divisivo - comporta violazione dell’etica della responsabilità: il genitore biologico (il donatore/la donatrice del gamete) taglia consapevolmente sin dall’inizio ogni relazione con il figlio che ha generato e non assume doveri nei suoi confronti.
Ed è ancora la mentalità divorzista che soggiace anche alla rivendicazione del matrimonio gay. Una volta che, grazie al divorzio, il matrimonio tra uomo e donna ha perso il suo carattere sociale fondamentale, divenendo un contratto privato come tanti, perché lo Stato dovrebbe impedirmi di stipulare quel contratto con una persona del mio stesso sesso, se ci amiamo? Sono molti, come si vede, i “figli” del divorzio.
Come si vede, le questioni che abbiamo esaminato sono tutte collegate tra loro, e non sbagliano coloro che vedono nella legalizzazione del divorzio l’inizio di tutto, nell’attacco alla cellula fondamentale della società, alla famiglia quale “società naturale fondata sul matrimonio”, l’inizio della deriva etica e la grave crisi economica con cui oggi ci troviamo a dover fare i conti.
In questa società in declino, sempre più povera economicamente e moralmente, anarchica, caotica, disumana, senza pietà, dove vivere è diventato un inferno da quando il Bene si chiama “male minore”, c’è bisogno di uomini e donne con lo sguardo aperto sulla realtà, che ripugnino il compromesso e promuovano le virtù e il bene tutto intero. Le sorti dell’Italia (dell’Europa, dell’Occidente) non si risolleveranno se non si riparte da dove il declino è iniziato, se non si riparte dall’unità e solidità della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna; dalla promozione della cultura della vita e del senso di responsabilità; dal ripristino dell’ordine naturale delle cose.
Può la cultura responsabile di tutto questo, salvarci da tutto questo? No, non può. Sarebbe come illudersi di curare gli alcolizzati somministrando loro alcolici o pensare di combattere l’obesità mangiando tutti i giorni dolci e alimenti grassi.
Le grandi dittature ideologiche del Novecento sembravano invincibili, ma sono crollate; la caduta del comunismo era una cosa inimmaginabile, eppure è avvenuta; la tratta degli schiavi è andata avanti per duecento anni, poi la schiavitù è stata abolita. Cos’è che ha causato la fine di tutto ciò? Il fatto che non siano mai mancate persone che ne denunciassero con forza e chiarezza l’iniquità e la disumanità. Nel discorso ai partecipanti al convegno “Il diritto alla vita e l’Europa” del 18 dicembre 1987, Giovanni Paolo II disse:
“Non vi spaventi la difficoltà del compito. Non vi freni la constatazione di essere minoranza. La storia dell’Europa dimostra che non di rado i grandi salti qualitativi della sua cultura sono stati propiziati dalla testimonianza, spesso pagata col sacrificio personale, di solitari. La forza è nella verità stessa e non nel numero”.
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